LA CATASTOFE DEL VULCANO DI TONGA, IN CUI L’ATTIVITA’ DELL’UOMO (E NON SOLO IN QUEL CASO) NON HA ALCUN PESO.

Tambora (Isole della Sonda nell’attuale Indonesia), 1815: eruzione esplosiva del vulcano, che provocherà, a causa dell’enorme quantità di lapilli e cenere sparata nell’atmosfera, per alcuni anni, un generale raffreddamento, con inverni davvero gelidi ed estati stranamente autunnali.

Krakatoa (ancora Indonesia), 1883: altra spaventosa eruzione che provocò un maremoto il cui effetto fu drammatico persino presso le lontanissime coste sudafricane.

Pinatubo (isola filippina di Luzon),1991: un vulcano considerato quiescente da ben seicento anni si risveglia lentamente fino alla più violenta esplosione del Ventesimo secolo. Sulla sua montagna nascevano diversi fiumi, ora ovviamente estinti.

E oggi, purtroppo, il vulcano in gran parte sottomarino Hunga Tonga Hunga Ha’apai: Isole Tonga. Nello sperduto arcipelago retto dall’ultima monarchia di Oceania, una serie di violente eruzioni attorno al 15 gennaio, culminanti in quella che  vulcanologi e sismologi stimano di cinquecento volte superiore alla bomba sganciata su Hiroshima quel maledetto mattino di agosto del 1945. Appena tre vittime sinora accertate, ma uno tsunami di dimensioni apocalittiche infrantosi sulle coste del da lì remoto Perù. Una petroliera battente bandiera italiana si è trovata coinvolta suo malgrado, versando nelle acque del Pacifico bagnanti le coste peruviane, diversi barili di “oro nero”. I soccorsi stentano ad arrivare, come ogni forma di comunicazione, digitale o analogica o postale; la devastazione è impressionante, come le foto che pubblichiamo suggeriscono e il tutto è aggravato dall’ isolamento fisiologico del piccolo arcipelago posto fra Fiji e Nuova Zelanda.

Un paradisiaco lembo terrestre abitato da persone mitissime, che probabilmente negli ultimi secoli non hanno conosciuto guerre o guerre civili, mitissime come lo sono di solito i tendenti al sovrappeso (il predecessore dell’attuale monarca era considerato pittorescamente “il re più grasso del mondo”).

Insomma, mi occupo nuovamente di vulcani: senza alcun alone romantico come nel caso del nostro Etna, e con molto più allarme dell’eruzione, enormemente più “tranquilla” ma comunque invasiva e distruttrice, registratasi lo scorso anno nelle Canarie.

La catastrofe di Tonga non ha però, grande rilievo mediatico. Probabilmente, l’informazione main stream non riesce a incasellarla nel trinomio “ insostenibilità-cambiamento climatico-catastrofe naturale”. E’ chiaro che i peggiori cataclismi avvengono, oggi come nel passato, per pure e semplici cause naturali, in cui magari, effettivamente, l’agire umano può concorrere a sollecitare i fenomeni. Ma in questo caso, come nei precedenti accennati e in tutta l’attività vulcanica, di responsabilità umane non vi è traccia alcuna.

Ma tale lezione mi sembra valida anche per il cambiamento climatico. Premetto, beninteso, che non sono un tecnico e un esperto della materia. Voglio però ricorrere al, tanto vilipeso di questi tempi, approccio filosofico alla lettura della realtà (che in questo caso sembra una esagerazione, dato che meglio sarebbe parlare di buon senso razionale ed elementare).

Ebbene, in questo inverno abbiamo assistito (fenomeno ormai dai tardi anni Ottanta) a una vera e propria ondata di calore nel periodo delle festività natalizie e di inizio anno, e poi a un gennaio (ancora in corso, ma fino al giorno 21 almeno) davvero mite e soleggiato, con notti magari rigide ma giornate semi primaverili. Cause di ciò, a gennaio l’anticiclone delle Azzorre (solitamente stazionante, soprattutto a partire sempre dagli anni Ottanta sul Mediterraneo d’estate), e a Natale (che i meteorologi fino ai primi di dicembre prevedevano nevoso) addirittura l’anticiclone africano che un tempo qui non si affacciava neanche d’estate.  

I suddetti anticicloni sono masse d’aria ad alta pressione impedenti il transito di perturbazioni e di venti. La loro sempre maggiore intrusione, certo, provoca un cambiamento climatico: ma non vedo cosa ci abbia a che fare l’energia più o meno “green” o al contrario “insostenibile” , o la dispersione (pur sempre deprecabile) di plastica nelle acque.

E’ probabile che i nostri antenati classici abbiano avuto anch’essi a che fare con molti anticicloni, o magari con eventi come quello del vulcano Tambora di cui non ebbero alcuna notizia a noi tramandabile, data l’eccessiva lontananza per le comunicazioni dell’epoca . Infatti, su bassorilievi e testimonianze artistiche varie, greci e romani appaiono quasi mai con vesti pesanti o pellicce; e mi sembra improbabile che gli elefanti di Annibale abbiano potuto varcare le Alpi in pieno inverno, sotto zero termico e con metri di neve.

A. Martino

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