LA FAMIGLIA ITALIANA COME FU PER ALMENO 2500 ANNI, A QUESTO PUNTO E’ DAVVERO FINITA. DIVIETO DI TRASMISSIONE AUTOMATICA DEL COGNOME PATERNO.

Parlano di un colpo mortale al “maschilismo e al paternalismo”, ma è semplicemente un ulteriore tassello (a questo punto, direi forse il definitivo) al tramonto dell’istituto familiare. Tale mi sembra la pronuncia della Corte Costituzionale di oggi 27 aprile, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima qualunque normativa stabilente che un figlio nato nel matrimonio, o anche fuori di esso se riconosciuto, assuma automaticamente il cognome paterno. L’automatismo adesso, invece, dovrebbe essere che si assumano sia il cognome paterno che quello materno nell’ordine concordato dai genitori; o eventualmente, che sempre un loro accordo stabilisca che il neonato ne assuma uno solo.

Duemilacinquecento anni se non più di diritto di radice romana, non sono un’insopportabile consuetudine sessista, ma essendo così tanti, dovrebbero ricoprire un istituto di tale scontatezza da raggiungere la sacralità. Così evidentemente non è: l’ideologia non si ferma dinanzi a nulla; anche se al buon Dio paresse, come in un film sul fantastico ritorno di Mussolini su questa terra, di spedirci dei redivivi Giulio Cesare o Numa Pompilio  a perorare le buone ragioni del cognome trasmesso dal padre, nei palazzi romani se ne approfitterebbe solo per notificare qualche avviso di garanzia (i motivi si troverebbero sempre, fra tante guerre o guerricciole e turbolenze private).

Il maschilismo e il paternalismo non c’entrano nulla, la logica è sempre quella: demolire e latentemente criminalizzare la figura virile; destrutturare la famiglia rendendola, più che focolare domestico, miniera di parcelle per studi legali. Ma dai, immaginatevi l’esito delle discussioni di cui sopra: tante donne diranno che a partorire sono state loro, che “i tempi sono cambiati”; intervento di suocere, cognati e così via. Il cognome paterno dovrà quasi sempre accodarsi, se non scomparire perché altrimenti “il nome diventa troppo lungo”. Nel caso peggiore, risentimenti sotto la cenere, parole fuori posto, rinfacciare questo o quello. E se l’accordo non si raggiungesse perché il maschiaccio spodestato non molla? Ovviamente, la parola passerà a toghe e legulei.

La logica della prassi che la Corte costituzionale delinea, magari inconscia, è la stessa per cui le forze dell’ordine e i media main stream da anni sollecitano accoratamente denunce per qualunque maltrattamento familiare reale o presunto: è la via tribunalesca allo sfascio non della Famiglia in astratto, ma di questa,  quella e quell’altra. Individuo atomizzato, solo, divorato da parcelle e alimenti.

Che il legislatore, a questo punto, decreti l’assunzione del cognome materno e basta: la sincerità delle intenzioni rende sempre tutto meno odioso.

Comunque, “maschilismo e paternalismo” non c’entravano nulla: la trasmissione del cognome paterno lungo una strada di secoli, che nemmeno le famiglie reali riescono a ricostruire totalmente, ci dava l’impressione di far parte di un Destino biologico. Ricordo che Filippo Mountbatten duca di Edimburgo, prima che l’augusta moglie Elisabetta II lo accontentasse, si lamentava di essere “ l’ unico britannico che non può dare ai figli il proprio nome”. Fu appunto accontentato, e la dinastia Windsor da allora si chiamò Mountbatten-Windsor.

A. Martino

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