SI METTANO L’ANIMO IN PACE E FACCIANO UNA MIGLIORE FIGURA: IL PADRE DI SAMAN ABBAS NON AVRA’ MAI A CHE FARE CON LA GIUSTIZIA ITALIANA, DALLE PARTI SUE LO STATO DIFENDE (ANCHE TROPPO) I PROPRI CITTADINI DALL’ESTERNO.

Si può uccidere una figlia, in quanto non corrispondente a propri standard morali e religiosi? O per una presunta eccessiva disinvoltura sentimentale se non proprio sessuale? Certamente e ovviamente no, eppure una telefonata intercettata tra il padre Shabbar Abbas e un familiare circa un anno fa, ora evidentemente desegretata, parrebbe dimostrare che la povera Saman Abbas fu uccisa dal padre per la “dignità” di costui. E dire che il padre o la madre dovrebbero dare la vita, non certo toglierla: abiezione totale, se proprio così sia stato (di fatto, nessun giudice ha finora condannato questo cittadino pakistano).

Eppure, a pochi giorni dall’apertura del procedimento giudiziario, il suddetto garantì che la familiare si trovava, viva e vegeta, in Belgio. Quello che però, qui, vorrei evidenziare, è che la giustizia italiana non riuscirà mai, probabilmente, a far pagare il fio di tale atroce misfatto (pare che il cadavere di Saman, sinora irrintracciabile, sia stato fatto a pezzi e poi ovviamente, con facilità forse occultato un po’ qui un po’ lì).

Infatti, sembra che il governo pakistano lo faccia proteggere dalla polizia locale, e lo abbia addirittura dotato di una nuova identità. Si ha un bel presentare rogatorie, estradizioni, e tutto il resto. Una vergognosa copertura? Cosa ci si vuole aspettare, da certi contesti e da certe culture?

Non è questo il punto. Lo è piuttosto, che come in Egitto per il caso Regeni, uno stato difenda un suo concittadino, direi anche contro il ragionevole e la giustizia sostanziale e le leggi naturali. Un po’ mi suscita invidia questo ultrasovranismo penalistico; credo che da queste parti si alzerebbe le mani e si farebbero ponti d’oro a chiunque (Russia e Bielorussia ovviamente escluse), anche forse per l’esazione di un divieto di sosta o per una banale ingiuria da lite di strada.

A. Martino   

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