QUARANTA ANNI FA IL SUICIDIO DELL’OCCIDENTE IN IRAN, E LA FINE DISASTROSA DELL’IMPERO PERSIANO.

L’ Iran sta festeggiando il quarantennale della Repubblica islamica, anche se americani e israeliani avrebbero preferito che questa non vedesse neanche l’anniversario. Sono stati scritti e si scrivono fiumi di inchiostro sulle sue dinamiche. Noi vogliamo ricordarla da una angolazione prettamente “sovranista”.

 Il 1978 si aprì per il monarca iraniano nel migliore dei modi ; anzi, nel peggiore.

Il presidente americano Jimmy Carter si trovava nella capitale giordana Amman, e pensò di fare un gesto distensivo e amicale verso l’ importante quanto problematico e inquieto alleato (non dimentichiamo che essendo un democrat, percepiva più di Nixon o Ford la problematica dei diritti dell’opposizione iraniana) facendo un salto a Teheran con tanto di Capodanno a uso di stampa e fotografi, e pronunciando la lode, col senno di poi iettatoria e ridicola, dell’ “Iran isola di stabilità”. Inevitabile l’impatto disastroso sull’opinione pubblica persiana, tanto islamista (le bevande alcoliche…!)  quanto minoritariamente laica (servo degli americani…!).

E sta alla Storia  appunto che il 16 gennaio 1979 Mohammed Reza Pahlavi abbandonò l’ Iran ormai incapace di controllare il suo impero, e che il 4 novembre del medesimo anno, gli Stati uniti d’America avrebbero subito l’onta dell’inizio di mesi di occupazione dell’ambasciata presso l’ormai Repubblica Islamica d’Iran con relativa presa in ostaggio dello sfortunato personale.

Nessuna rivoluzione nella Storia ha avuto una tale copertura mediatica e televisiva : manifestazioni di protesta oceaniche arrivanti persino nella sola Teheran a convogliare in piazza più di un milione di persone disposte anche a farsi maciullare dai carri armati delle forze imperiali, la partenza dello Scià gravemente malato cui i militari fedeli, all’aeroporto baciano la mano inginocchiandosi (inevitabile la reminiscenza borbonica) assieme all’imperatrice in completo di Valentino e non certo in chador, la raggelante icona barbuta e accigliata di Khomeini che torna trionfante quindici giorni dopo la partenza dell’ odiato nemico, le solite statue in questo caso dello Scià e del padre abbattute come poi in Iraq quelle di Saddam, le implacabili esecuzioni delle sentenze a morte dei tribunali islamisti….e poi la speaker del telegiornale confermata dal nuovo ordine ma in foulard fasciante il capo, che annuncia il trionfo di Khomeini con la proclamata “neutralità” delle forze armate dopo due giorni di disperata sortita delle forze antirivoluzionarie. Sono una miriade le miniature di questa rivoluzione decisiva per il futuro dei popoli islamici e gli assetti geopolitici globali, con una sua epica eguagliabile solo dalla rivoluzione francese o dalla russa.

Ma torniamo allo sfortunato rapporto tra lo Scià e gli americani : sentiamo cosa diceva Khomeini nel 1963, un anno prima dell’esilio. “Signor Scià, caro signor Scià, è venuto il momento di ravvederti. Non vorrei che tu facessi la fine di tuo padre. Quando America, Unione sovietica e Inghilterra ci attaccarono durante la seconda guerra mondiale, la gente fu felice di vedere andar via il re Pahlevi. Ascolta il mio consiglio, quello dei religiosi dell’Iran, non di Israele. Hai trascorso quarantacinque anni di esistenza miserabile. E’ venuto il momento che tu rifletta: non hai imparato niente dall’esistenza di tuo padre? Quelli che oggi si dicono tuoi amici potrebbero abbandonarti. Sono amici del dollaro, non hanno religione, non sono fedeli a nessuno. Ti lasceranno solo e in ginocchio, uomo miserabile”.

Nell’ultimo discorso prima del bando, Khomeini attaccò con sarcasmo la concessa immunità diplomatica per tutti i militari americani, che ricordava molto le capitolazioni che gli occidentali nell’Ottocento strappavano ai popoli non ufficialmente colonializzati : “Siamo al colmo del cinismo: se lo scià schiaccia con la sua auto un cane americano, può essere processato. Ma se un cuoco americano uccide lo scià nessuno può intervenire. Non possiamo riconoscere questo governo e questo parlamento, tradiscono il Paese.”

Noi sovranisti, quindi, non possiamo non avere sentimenti di amicizia verso l’ Iran, cui tra l’altro già lo straordinario capo di ENI Enrico Mattei guardava come primario partner commerciale dell’Italia, e non possiamo non considerare la rivoluzione islamica dall’ottica della riappropriazione del proprio destino da parte di un popolo.

A.Martino          

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