ATTACCHI IN PROFONDITÀ: DRONI, BOMBARDIERI E IL RISCHIO DELL’ARMAGEDDON

Dopo l’operazione “Spiderweb” — con la quale l’Ucraina, almeno ufficialmente, ha lanciato 117 droni contro vari aeroporti militari russi, distribuiti su cinque oblast, dal confine con la Finlandia fino a quello con la Cina, nei pressi della Corea del Nord — colpendo e danneggiando tra i 20 e i 40 bombardieri strategici e modificando così gli equilibri della deterrenza nucleare, viene spontaneo chiedersi quale sia il punto di caduta dell’Occidente.

In altre parole: che cosa mira davvero a ottenere Kiev con un attacco di tale portata? E qual è la strategia — ammesso che ne esista una — dell’Alleanza Atlantica?

Ma soprattutto: aveva — e ha — senso, nei giorni immediatamente successivi all’operazione “Spiderweb”, colpire anche ponti, ferrovie e infrastrutture civili in territorio russo, causando vittime tra la popolazione e mettendo a rischio la sicurezza dei cittadini?

Vale la pena ricordare che, secondo la dottrina nucleare ufficiale della Federazione Russa — aggiornata per l’ultima volta nel giugno 2020 — Mosca si riserva il diritto di utilizzare armi nucleari nei seguenti casi:

  1. Attacco nucleare o con armi di distruzione di massa contro la Russia o i suoi alleati;
  2. Attacco convenzionale tale da minacciare l’esistenza stessa dello Stato russo;
  3. Individuazione del lancio di missili balistici diretti verso il territorio della Federazione;
  4. Attacco contro infrastrutture critiche militari o governative che comprometta le capacità di risposta strategica.

E guarda caso, l’operazione “Spiderweb” rientra proprio in quest’ultima fattispecie, avendo colpito strutture deputate al comando e controllo delle forze strategiche, compromettendone la prontezza e la funzionalità.

I Tupolev Tu-95 e Tu-22M3 colpiti il 1° giugno sono bombardieri strategici: il primo può trasportare fino a 14 missili da crociera nucleari con un raggio d’azione superiore ai 15.000 km (più di un terzo della circonferenza terrestre); il secondo, invece, fino a 3 testate nucleari, per una gittata di circa 7.000 km (oltre un quinto della circonferenza terrestre).

Considerando che la Federazione Russa dispone attualmente di circa 700 missili da crociera nucleari, è evidente che — se davvero fossero stati distrutti 40 aerei, come inizialmente strombettato dai vari notiziari europei — Mosca si troverebbe impossibilitata a utilizzarne circa la metà, vedendosi costretta a ricorrere ad altri vettori dell’arsenale atomico per garantire il principio della Mutua Distruzione Assicurata (MAD).

Ma ciò che più inquieta è che questa consapevolezza non appartiene solo a chi scrive: ne sono perfettamente coscienti sia tutti i governi coinvolti che i numerosi consulenti prezzolati che li assistono nell’elaborazione di strategie tanto rischiose quanto folli.

Ci si è chiesti, ad esempio, perché quei bombardieri non fossero nascosti in hangar, grotte o basi adeguatamente mimetizzate? La risposta è semplice: nel quadro degli accordi sul controllo degli armamenti nucleari — in particolare quelli bilaterali come START, New START, SALT e INF — è esplicitamente previsto che ciascuna parte possa verificare, anche via satellite, il numero e il posizionamento dei vettori nucleari strategici dell’altra (aerei, sottomarini, silos, lanciatori mobili, ecc.).

Con questo attacco, compiuto evidentemente per conto di altri, l’Ucraina rischia di spingere la Russia a sottrarsi a ogni forma di trasparenza e verifica, compromettendo un sistema di sicurezza globale che, per quanto fragile, ha finora evitato l’irreparabile.

Ed è molto probabile che sia proprio di questo che Putin abbia discusso telefonicamente con Papa Leone XIV e con il presidente Trump.

La Russia, oggi, si trova nelle condizioni di dover reagire. E se lo farà — come temo — potrebbe farlo con un’arma tattica sul territorio ucraino.

A pagarne il prezzo, dunque, saranno solo gli ucraini, perché — realisticamente — nessuno sano di mente risponderà con un’altra arma nucleare.

Allora dov’è il punto di caduta? È davvero questo ciò che si vuole ottenere?

Molti non comprendono che il rapporto tra Russia e Ucraina somiglia a quello tra un padre e un figlio: un padre, per educare, può anche infliggere uno scappellotto; ma mai — e poi mai — dovrebbe accadere il contrario, perché le conseguenze, in quel caso, per il figlio, sarebbero disastrose.

Allo stesso modo, l’Ucraina non può colpire in profondità la Russia senza pagarne un prezzo altissimo, per motivi storici, strategici, geopolitici e di rapporti di forza.

Eppure, i nostri governanti — forse affascinati da moderne teorie pedagogiche — sembrano aver dimenticato questa elementare regola. Così facendo, finiscono per alimentare ciò che, solo pochi giorni fa, si è ripresentato sotto i nostri occhi: la guerra.

Lorenzo Valloreja

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