SOTTOMARINI GREEN PER NOI, ZONA ECONOMICA PER LORO: L’ALGERIA AVANZA NEL MEDITERRANEO

Io credo che Enrico Mattei si stia rivoltando nella tomba.
Un piano lanciato in pompa magna dalla presidente Meloni, che avrebbe dovuto ristabilire la centralità geopolitica dell’Italia nel Mediterraneo, si è rivelato – ironia della sorte – un boomerang: ad oggi, ha prodotto soltanto l’acquisto di gas algerino a 50 €/MWh, ovvero tre volte e mezzo in più rispetto ai 14,5 €/MWh pagati a Gazprom, e lo sgarbo di Algeri con la dichiarazione unilaterale della propria Zona Economica Esclusiva, che dal 2018 lambisce le acque davanti alla Sardegna.
Tant’è che, se vi capita di andare in vacanza a Oristano, potreste assistere allo spettacolo dell’emersione e immersione dei sottomarini algerini di fabbricazione russa – classe Kilo – intenti a pattugliare proprio a ridosso delle nostre coste.
E tutto ciò accade nel silenzio più assordante del Parlamento e dell’opinione pubblica, troppo intenti – e sollecitati – a schierarsi a favore della causa ucraina, tanto da dimenticare tutto il resto.
Anche perché, la gola nella garrota, ce la siamo infilata da soli: nel momento stesso in cui – invece di imitare, o magari superare, Ankara, mantenendo sia il rapporto privilegiato con il Cremlino sia l’amicizia con il fronte occidentale (Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti) – abbiamo pensato bene di fare i falchi più della Polonia. Dimenticando, però, che Varsavia lo fa per puro calcolo opportunistico, non per ideologia.
Noi, invece, come suggerirebbe la saggezza popolare, ci siamo letteralmente tagliati gli attributi pur di fare un dispetto a nostra moglie.
D’altronde, se così non fosse, in tutti questi anni non avremmo acconsentito che:
- a seguito della Primavera Araba, l’Italia perdesse la propria
egemonia a favore della Turchia in:
- Tunisia
- Libia
- Egitto;
- con la guerra civile siriana, un regime amico come quello degli Assad venisse spazzato via;
- in Albania, americani e turchi ci surclassassero in termini di influenza;
- con le sanzioni alla Russia, danneggiassimo l’ottavo partner commerciale dell’Italia;
- con le sanzioni all’Iran, perdessimo il primato commerciale verso Teheran.
Certo, non
tutto è imputabile a Giorgia Meloni e al suo Esecutivo. Ma un Governo che si
definisce “dei Patrioti” dovrebbe almeno provare a rimettere in ordine questi
dossier… e invece nulla.
Si preferisce creare divisioni su migranti, diritti LGBT o sull’antipatia
personale verso Macron, mentre le questioni davvero strategiche vengono
sistematicamente ignorate.
Eppure, il Canale di Sicilia è uno snodo fondamentale per il traffico marittimo tra il Mediterraneo occidentale e quello orientale, collegando direttamente Suez (e dunque l’Asia) con Gibilterra (e quindi l’Atlantico).
Ma non solo: vi transitano gasdotti, cavi sottomarini e altre infrastrutture energetiche e digitali cruciali per l’approvvigionamento europeo.
In questo scenario, la Sicilia potrebbe diventare una piattaforma logistica euro-mediterranea di prim’ordine, con importanti ricadute occupazionali e industriali. Ma è mancata, finora, una strategia marittima integrata e adeguati investimenti infrastrutturali.
Investimenti che, peraltro, dovrebbero coinvolgere l’intero Stivale, visto che l’Italia è una penisola lunga oltre 1.500 km nel cuore del Mediterraneo, con più di 7.500 km di coste.
Porti come quelli di Ancona, Bari, Cagliari, Catania, Civitavecchia, Genova, Gela, Gioia Tauro, La Spezia, Livorno, Napoli, Palermo, Porto Torres, Taranto, Trapani, Trieste e Venezia andrebbero potenziati con collegamenti ferroviari e stradali di livello europeo.
Invece, abbiamo preferito dedicare le nostre energie alla “Zona di protezione ecologica del Mediterraneo nord-occidentale”, nel Mar Ligure e Tirreno, senza renderci conto che la storia non è affatto finita. Anzi!
Mentre noi ci rivolgiamo all’ONU – manco fossimo l’Iran bombardato da Israele – gli altri fanno i fatti e si fanno le ZEE.
E in questi
giorni, con grande entusiasmo, abbiamo accettato (per la gioia di Trump) di
destinare il 5% del nostro PIL alla difesa. Tradotto: acquisti di armamenti
dagli Stati Uniti.
Peccato che, quando si concede qualcosa in una trattativa, si dovrebbe anche
ottenere qualcos’altro.
E quel “qualcos’altro” – come sempre – Roma si è dimenticata di chiederlo.
Per esempio: la rimozione delle limitazioni al nostro tonnellaggio militare.
Che, detto in parole semplici, significherebbe smettere di avere appena 8 sottomarini per più di 7.500 km di coste… e magari puntare ad averne almeno cinquanta.
Ma se continuiamo a credere all’Europa, alla Storia che è finita, alla Fatina dei denti e a Babbo Natale, non possiamo pretendere che gli altri facciano lo stesso.
Così, come sempre: chi è causa del suo mal, pianga sé stesso.
Lorenzo Valloreja
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