ISRAELE E LA “ENDLÖSUNG” PALESTINESE

La dichiarazione del Ministro per la Tradizione Ebraica, Amichai Eliyahu, che ha evocato lo spettro dell’arma nucleare su Gaza per sradicare, una volta per tutte, Hamas, non solo ha suscitato grande sdegno nella comunità internazionale, ma ha anche portato alla sospensione del Ministro da tutte le sedute del Governo su ordine di Netanyahu, fino a nuovo ordine. Questa dichiarazione ha messo in evidenza tre criticità significative di uno Stato che, fino a prova contraria, si è sempre professato democratico ed avamposto del pensiero occidentale.

La prima di queste problematiche riguarda la possibilità che l’IDF possa utilizzare un ordigno nucleare su Gaza. Sebbene si tratti di un’arma tattica con un raggio d’azione molto limitato, il suo possesso dimostra, senza alcun dubbio, una realtà che già tutti noi conoscevamo, anche prima delle dichiarazioni di Eliyahu e di Ehud Barak, che già nel mese di aprile aveva denunciato il possesso di testate atomiche da parte di Israele. Il fatto che Tel Aviv possieda armi nucleari non è un dettaglio trascurabile, soprattutto in base al “Trattato di non Proliferazione Nucleare” (TNP), stipulato a Mosca il 2 luglio del 1968, che oggi conta 93 Paesi firmatari. Questo trattato proibisce espressamente agli Stati “non-nucleari” di procurarsi tali armamenti e agli Stati “nucleari” di trasferire armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi. Inoltre, il trasferimento di tecnologie nucleari per scopi pacifici, ad esempio per la produzione di energia elettrica, deve avvenire sotto l’esclusivo controllo dell’AIEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica). Il fatto che Israele non aderisca al TNP la pone al di fuori della pacifica comunità internazionale, creando pericolosi precedenti.

In luce di quanto detto, come possiamo biasimare il diritto dell’Iran di possedere armi nucleari? Perché Tel Aviv può avere questa arma mentre il Cairo, Teheran o Riad no?

La seconda grave questione che viene messa in luce da una simile dichiarazione è che l’attuale classe dirigente israeliana, al netto di Hamas, non ha nessuna intenzione di avere uno Stato Palestinese con il quale condividere la medesima Regione Storica, ma si è giunti alla scelta della “Soluzione Finale” o come dissero i tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale della “Endlösung”, cioè dell’allontanamento e annientamento totale dei palestinesi dalla Terra Santa.

Questa decisione non è evidente solo per la minaccia nucleare prospettata, ma anche per il fatto che, nonostante il territorio sia stato circondato e l’acqua e l’energia siano state tagliate – dopo un mese preciso di guerra e 10 mila morti civili nella Striscia, di cui più di 4 mila sono bambini, nessun capo di Hamas di alto livello è stato eliminato – l’IDF continua e continuerà imperterrito con i propri raid, fino allo spopolamento totale di Gaza e dei centri circostanti perché questa non è una guerra qualsiasi, ma un conflitto totale, ideologico, nel quale non si può trattare con il nemico, perché l’obiettivo è la resa incondizionata o la distruzione totale dell’altro.

Tuttavia, come può una simile impostazione creare una pace duratura? Il sangue, da sempre, chiama solo altro sangue! Pertanto, ciò che divide oggi il mondo arabo potrebbe, in virtù di questo scontro di civiltà, essere messo in secondo piano e portare ad una guerra realmente mondiale tra l’islam in generale e tutte le altre confessioni. Questa è un’ipotesi davvero terribile.

La terza e ultima considerazione riguarda la percezione che gli israeliani hanno dell’ONU e di tutte le altre organizzazioni che a vario titolo si relazionano con loro. Non può il Governo di Tel Aviv prima accettare e plaudire alla Risoluzione dell’ONU n°181 del 27 novembre 1947 e poi gridare all’attuale Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, di vergognarsi solo perché le sue parole non sono pienamente in linea con la narrativa ufficiale dello Stato di Israele. Un simile comportamento non solo non fa bene a nessuno, ma sabota ogni possibilità di mediazione e risoluzione dei problemi.

Hamas è un gruppo politico terroristico?

Certo che lo è, tutti lo sanno, ma erano gruppi politico/terroristici anche le bande ebree della “Stern”  e della “Leḥi” che, molto fecero, tra il 1940 ed il 1948, per la nascita dello Stato d’Israele, financo  dialogare con le Forze dell’Asse e l’IRA.

Questo, giusto per dire che, oggi come oggi, si da del fascista piuttosto a sproposito oltreché far finta di non capire che i terroristi di oggi potrebbero pur sempre essere gli interlocutori di domani, Arafat docet in Oslo.

Dunque, una reale soluzione al problema non può passare per un “Endlösung”.

Al contrario, sarebbe più opportuno, per quanto doloroso e spiacevole sia a fronte delle vittime israeliane del 7 ottobre, tentare di dialogare e agire economicamente contro Hamas, facendo pressioni sul Qatar e gli altri finanziatori.

In questo, Israele, è maestra e senza tante vittime, sono sicuro che le teste pensanti di Hamas cadrebbero, uno dopo l’altra, ma fin quando l’odio prevarrà sulla ragione sarà sempre e solo l’Endlösung a prevalere.

Lorenzo Valloreja

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