IL SOVRANISMO NON È MORTO. È IL MAINSTREAM CHE FINGE DI NON VEDERLO.

Chi, in queste ore, parla di una presunta dicotomia nella risposta del mondo alle politiche aggressive di Trump, o non ha capito nulla, oppure è semplicemente in malafede.

Infatti, se i risultati elettorali positivi ottenuti da forze politiche contrarie al Tycoon in Paesi come il Canada, la Groenlandia o l’Australia erano ampiamente prevedibili — secondo un naturale principio di causa-effetto — non si comprende per quale motivo non si sarebbero dovuti verificare risultati analoghi, questa volta a favore delle destre anti-UE e anti-NATO, in Paesi come la Germania, il Regno Unito o la Romania.

E infatti, come da noi più volte largamente e sistematicamente pronosticato, ciò è puntualmente avvenuto. Perché, oggi, nel Vecchio Continente — isole comprese — il “tiranno sfruttatore” non è più (o non solo) l’imperialismo americano, bensì la “garrotta” dell’Unione Europea e la follia strategica della NATO.

Organizzazioni internazionali che ormai vengono percepite dal popolo minuto — o “proletario”, come si sarebbe detto un tempo — come vuoti e inutili baracconi, incapaci di garantire sicurezza e benessere, ma capaci soltanto di peggiorare la vita dei cittadini semplici.

E allora, avanti coi titoloni dei giornaletti nazionali: “Il Regno Unito si è pentito della Brexit”, “Gli scaffali sono vuoti”, “Il costo della vita è alle stelle”… e via con altre amenità confezionate per chi non vuole vedere.

Ma la narrativa, per quanto pervasiva e ben orchestrata, nulla può contro la crudezza dei numeri. E i numeri dicono chiaramente che, in un contesto come quello dipinto dal mainstream, il Reform UK, il partito di Nigel Farage — sì, proprio quello che la Brexit l’ha inventata — alle elezioni suppletive del 1° maggio 2025 ha ottenuto il 39% dei voti, battendo sia laburisti che conservatori e guadagnando oltre 20 punti percentuali rispetto al 2024.

Se fossimo a Napoli, Totò avrebbe esclamato: “Alla faccia del bicarbonato di sodio!”

Ma questa non è una commedia di Age e Scarpelli.

Questa è la realtà. Anzi no… è la democrazia, bellezza!

La stessa democrazia popolare che — in barba alle forze euro-atlantiste — aveva già fatto vincere Calin Georgescu in Romania, salvo poi vederne annullata l’elezione dalla Corte Costituzionale con la scusa di presunte irregolarità finanziarie e “ingerenze russe via TikTok”.

Eppure, quel popolo, richiamato nuovamente alle urne, ha confermato il suo verdetto: George Simion, successore politico di Georgescu e leader dell’estrema destra anti-UE e anti-NATO, ha vinto con il 40,5% dei consensi, e si appresta a conferire, dopo il secondo turno, proprio a Georgescu l’incarico di formare un nuovo governo.

Insomma, il sovranismo in Europa è più vivo che mai — e non certo per merito di Trump o di Vance — ma grazie alla fallimentare guerra per procura che l’Ucraina continua a combattere contro la Russia, e per tutte le scelte ideologiche e dissociate dalla realtà della Commissione Europea, che da un lato hanno distrutto il ceto medio e dall’altro trasformato le periferie urbane in vere e proprie giungle d’asfalto, pericolose e invivibili.

Ed è quindi del tutto naturale che, più i poteri forti tentano di mistificare la realtà, più questo fiume carsico di identità nazionale e valori antichi risalga in superficie, spingendo contro l’argine di un sistema sempre più fragile.

E infatti il botto più grosso lo vedremo proprio in Germania.

L’AfD è stato ufficialmente classificato dal Bundesamt für Verfassungsschutz (BfV) come organizzazione di estrema destra, ed è ora soggetto a sorveglianza come potenziale minaccia all’ordine costituzionale?

Bene!

Peccato, però, che — per la prima volta dal 1949 — un Cancelliere tedesco, Friedrich Merz, non sia stato eletto al primo scrutinio.

Ha ottenuto una maggioranza parlamentare così risicata da definirla ballerina sarebbe un complimento.

E allora anche la Germania, prima o poi, avrà la sua svolta sovranista.

E con essa — inevitabilmente — la Francia e poi l’Italia.

Con buona pace di tutti gli europeisti.

Per il bene dell’umanità.

Lorenzo Valloreja

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