ALBERTO STASI….ANDREA SEMPIO….PER ME NON E’ UN APPASSIONANTE CASO DI TRIONFO DELLA GIUSTIZIA, MA SOLO LA DIMOSTRAZIONE DI COME LA MACCHINA DI UN POTERE SOSTANZIALMENTE ASSOLUTO POSSA STRITOLARE CHI, COME, E QUANDO VUOLE. E SPERO DI SBAGLIARMI.

Più si parla della “seconda stagione” televisivo-giudiziaria (come la vedo io, il che sarà per qualcuno, con laica blasfemia) del delitto di Garlasco, e più mi si crea uno stato di civico disagio e di sgomento e paura.
Non credo alla colpevolezza di Andrea Sempio come non credo a quella di Alberto Stasi.
Allo stesso modo credo di potermi benissimo sbagliare.
E quello che credo o non credo io non ha alcuna importanza, come per qualunque estraneo a quel minuscolo frammento dell’apparato poliziesco-giudiziario che ha deciso di riaprire il caso dopo che nel 2015, la Cassazione vi aveva posto il suo sigillo “incastrando” una volta per tutte il fidanzato della vittima Alberto Stasi.
Nei miei pateticamente teorici studi giurisprudenziali avevo appreso del “ne bis in idem” (Sempio pure fu indagato e prosciolto), o della Cassazione come giudizio definitivo (salvo revisione, caso rarissimo dato che le toghe non amano sconfessare sé stesse o i colleghi). Il fatto reale che la vicenda conferma (si sta profilando l’ipotesi che dieci anni dopo Sempio possa prendere in galera il posto di Stasi) è (e qui veniamo alla mia sensazione di paura) è che il cittadino è in totale balia dei ripensamenti, testardaggini, sciatterie, approssimazioni, insensibilità di una giustizia (uso volutamente la g minuscola) che semplicemente, non esiste. Esistono solo, nel campo “dei delitti e delle pene” dei tentativi da parte di una elite (la magistratura, assistita da un suo apparato di potere più o meno assoluto) di non travisare troppo la realtà storica, che possono avere successo ma anche non averne.
Mi permetto di parafrasare Gustave Flaubert: “Andrea Sempio c’est moi”. Sono io, come chiunque mi legga: bastava essere vissuto a Pavia e dintorni, e aver frequentato in quegli anni, anche saltuariamente o occasionalmente, le famiglie Poggi o Stasi. Chi trova un amico trova un tesoro: in qualche caso, anche una cella.
Papa Francesco si chiedeva spesso, recandosi a visitare i carcerati, perché dentro ci fossero loro e non lui.
Per quale motivo, anche se il suo posto dovesse essere preso da altri, Sempio deve essere considerato colpevole “oltre ogni ragionevole dubbio” (formula metafisicamente superba) e non, forse, un ennesimo disgraziato vittima di mala giustizia?
Ma non hanno detto per anni, che “le sentenze non si discutono” (motto spaventosamente totalitario?). Stavolta, le mettono in discussione loro stessi del Palazzo. Mi si dirà: ma proprio questo, dimostra la basilare sanità del Sistema capace di mettersi in discussione. Vorrei crederlo anche io, ma non ci riesco. Arcana imperii.
Ognuno si faccia la sua opinione, come spesso invito sperando solo di dare un contributo al lavorio delle coscienze.
Ma voglio chiudere ospitando brevemente lo stralcio di un intervento ben più autorevole del mio ovvero quello di Vittorio Feltri: “C’è una protagonista antipatica e dimenticata, in tutta la vicenda di Garlasco, e mi riferisco all’omicidio di Chiara Poggi (13 agosto 2007) e al seguente corso della giustizia: la coscienza.
Quella dell’assassino la lascio perdere, non mi aspetto soprassalti. Purtroppo i giganti del male di Dostoevskij sono chiusi nei suoi romanzi, difficilmente balzano fuori dalle cronache meschine delle loro infamie. Costoro digeriscono serenamente il sangue delle vittime e, sui minuti infiniti di crudeltà con il martello che si abbatte sulla testolina della ragazza, dormono come se fossero guanciali di piume. Parlo della coscienza dei giudici. Come hanno fatto a decretare la colpevolezza di Alberto Stasi «oltre ogni ragionevole dubbio», condannandolo non solo al carcere per sedici anni ma dannando la sua reputazione con sentenza definitiva, martellata anch’essa sulla fronte limpida di un bravo ragazzo, la seconda vittima? Mi chiedo come siano le notti di questi magistrati intoccabili per legge, ma che mi auguro, per la stima che merita gente con una responsabilità così grande, sentano i denti di una voce interiore macinargli le budella.
Secondo grado. La Corte di assise di Appello di Milano (6 dicembre 2011), due giudici, più giuria popolare, esito identico: assolto. I magistrati redigono motivazioni applicando la ragione: pregiudizi più che indizi. Il dubbio è un obbligo di coscienza.
Non si parla di insufficienza di prove: mancano proprio. La Procura fa ricorso. La Cassazione che fa?
Constata che l’andamento dell’inchiesta «fu senz’altro non limpido, caratterizzato anche da errori e superficialità».
Dopo di che la logica direbbe: il procedimento è nullo, è imbastardito da elementi tossici. E invece con acrobazia da saltimbanco si stabilisce che Stasi è colpevole «oltre ogni ragionevole dubbio». La Suprema Corte insomma tratta i propri colleghi da deficienti, incapaci di esercitare la ragione (18 aprile 2013).
Tutto è rinviato a una nuova Corte d’Appello di Milano che non può che recepire le direttive dei «superiori». E infine di nuovo la Cassazione sigilla il tutto (17 dicembre 2015). Indagini rifatte? No. E allora?…………”.
A. Martino
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