UN’EPOCA SENZA PADRI NÉ MADRI: IL DRAMMA DI UNA GENERAZIONE FRAGILE

L’omicidio di Martina Carbonaro, la ragazzina di 14 anni di Afragola, in provincia di Napoli, uccisa barbaramente dall’ex fidanzato Alessio Tucci solo perché gli aveva negato un abbraccio, sta scatenando una marea di polemiche e una girandola di dichiarazioni.
Talvolta queste sono in linea con la narrazione ufficiale, secondo cui – come al solito – la colpa ricadrebbe sul patriarcato, sul machismo e, perché no, anche su questo governo e su altri a esso affini, come l’amministrazione Trump. Secondo alcuni “predicatori della domenica”, questi ultimi sarebbero colpevoli di aver sdoganato il mito della ragione imposta con la forza. Tuttavia, quando un uomo divisivo come Vincenzo De Luca osa dire la verità, viene subito silenziato. Perché? Perché il buon senso sembra non avere più cittadinanza nel nostro tempo.
Ma cosa ha detto di così grave il governatore De Luca? Semplice: si è posto una domanda legittima. Com’è possibile che una ragazzina di 12 anni – perché questa era l’età di Martina quando si è fidanzata con Alessio – avesse una relazione con un ragazzo di 17? Una bambina con un tardo adolescente: è normale? Dov’erano i genitori? Possibile che nessuno abbia detto nulla?
E qui arriva l’accusa più grave lanciata dal presidente della Regione Campania a tutti i genitori di oggi: “Siate padri e madri… non finti giovani!”. E io sono d’accordo con Vincenzo De Luca, perché oggi la paura di invecchiare ha portato molti adulti, nel tentativo di sembrare ancora giovani, a delegare ogni responsabilità agli altri: alla scuola, alle istituzioni, ai nonni.
Ho sentito parlare di genitori che, forse ispirati da certi film alla moda, si fanno le canne con i figli, o che fanno gli amici, o di madri che giocano a fare le sorelle maggiori, come se duemila anni di educazione non avessero già dato prova del loro valore.
Eppure, in nome di un modernismo inutile e senza radici, c’è chi ha voluto cancellare tutto, con i risultati che sono – purtroppo – sotto gli occhi di tutti… altro che patriarcato.
Oltre alla balzana idea di non voler accettare il trascorrere del tempo, c’è anche una recrudescenza di buonismo misto a pietismo, di cui non si capisce né l’origine né il senso. Secondo certi pedagoghi e psicologi, bambini e adolescenti non andrebbero mai rimproverati, né messi di fronte ai propri fallimenti o limiti. Tutto deve essere semplice, accessibile, alla portata del solo desiderio.
È sparito il senso del limite, la fame, l’inventiva, l’ingegno e la fatica per raggiungere un risultato. Abbiamo condannato queste generazioni all’incapacità di tollerare la sconfitta, a non saper accettare un no, al non conoscere il sapore dell’insuccesso. Tutto diventa frustrante e doloroso… talmente doloroso da spingere alcuni a compiere gesti estremi: togliersi la vita, o privarne altri.
Lo si nota anche in piccoli gesti, apparentemente insignificanti, ma rivelatori. A tutti sarà capitato di assistere a scene in cui, mentre due adulti stanno parlando, un ragazzo o una ragazza si inserisce con disinvoltura per ottenere ciò che desidera, perché abituato a essere sempre al centro. Lo stesso accade se l’adulto è al telefono o guarda la TV: loro vengono prima di tutto. Si cucina secondo i loro gusti, si guarda ciò che piace a loro. Perché? Perché così sono stati cresciuti.
Rifuggono la fatica e la noia perché, illudendoci di offrirgli più possibilità, abbiamo riempito ogni istante del loro tempo libero con mille attività, privandoli però del senso della realtà e dell’inevitabilità della vita.
Come genitore mi sento di dire che non basta ripetere a un figlio – come un disco rotto – che una donna è libera di scegliere e che le sue decisioni vanno rispettate. Se bastasse dirlo, allora i ragazzi non fumerebbero, non cadrebbero nelle dipendenze, e andrebbero tutti bene a scuola. La verità è che si impara ad accettare un no solo se, nel tempo, quei no ci hanno scottato abbastanza da farci crescere un bel callo ignifugo.
A buon intenditor… il patriarcato non spaventa e non ha l’accezione che vogliono dargli questi signori.
Lorenzo Valloreja
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