ADDIO ALL’ ULTIMO EREDE AL TRONO D’ITALIA VITTORIO EMANUELE “IV”. QUANDO E’ LA GRANDE STORIA A DECIDERE CHI E COSA SARAI….

S.A.R. il duca di Savoia e principe di Napoli, già principe ereditario del Regno d’ Italia Vittorio Emanuele di Savoia (ma un giacobino magistrato di Cassazione gli negò anche il “di”) commise in vita sua degli errori, ma soprattutto visse in un tempo decisamente sbagliato per un re senza corona quale divenne dopo la morte di suo padre Umberto II, ultimo re d’ Italia per un mesetto appena nel 1946 (vedi tra altri, il mio articolo decisamente simpatizzante per Umberto IL VERO ANNIVERSARIO DELLA REPUBBLICA DOVREBBE RICORRERE IL 13, NON IL 2 GIUGNO. MA E’ UNA DATA CHE PUZZA DI GOLPE, E CHE RICHIAMA LA STRAGE ANTIMONARCHICA DI NAPOLI. del 13 giugno 2021).

Allontanatosi all’età di sei anni assieme alla madre principessa Maria José al momento del fatidico Otto settembre apice negativo dei maneggi dell’ ambiguo e massonico nonno Vittorio Emanuele III, rientrato in Italia giusto in tempo  per qualche foto di propaganda monarchica come quella nei giardini del Quirinale raffigurante una felice e unita famiglia simbolo di tutte le famiglie italiane (Umberto come al solito, stava magnificamente in uniforme), ne sarà cacciato fino al 2003. Ma la famiglia era poco unita, già da allora: il bando ai Savoia fu una specie di tana libera tutti, e Vittorio Emanuele in pratica, non seguì il padre in Portogallo bensì la madre in Svizzera. Pare però che il “matriarcato” (Maria José tra l’ altro in odore di simpatie socialiste) non plasmò bene quello che fu, pur sempre, un ex erede al trono e in qualche modo pur sempre pretendente allo stesso.

Infatti una volta, a un re mancato e in esilio, sarebbe stata d’obbligo la carriera militare in uno stato amico, preferibilmente monarchico. Ma i tempi, appunto, erano diversi: ora come allora, non rimane che la via dell’ “uomo di affari” che gli costò, su ordine di un P.M. di provincia specializzato in operazioni ad alta visibilità come appunto  “Vallettopoli”, l’ignominia di sei giorni di galera (d’altronde potevano essere anche sessanta o seicento); ma che pure gi fruttò la piccola rivalsa verso la Repubblica di un indennizzo da quarantamila euro. Ben altra grana fu la letale fucilata, in piena stagione vacanziera balneare del 1978, lungo la costa còrsa contro gli ospiti in vena di provocazioni dello yacht dell’ex marito di Stefania Sandrelli: lo studente diciannovenne tedesco Dirk Hamer spirò dopo mesi, al termine di un calvario ospedaliero fra Ajaccio, Marsiglia e Heidelberg.

Arrestato in seguito al tragico epilogo, fu scagionato a piede libero dalla giustizia francese ma solo nel 1991: il proiettile non sarebbe stato compatibile con la carabina, e l’imbarcazione era stata smantellata prima dell’esame forense. Fu comunque condannato dalla repubblica regicida per eccellenza a sei mesi per porto d’armi abusivo (per lui grottesco reato, più da malavitoso che da principe spodestato e perseguitato).  Durante la breve cattività lucana, però, fu carpita una conversazione (assolutamente ininfluente sul caso Hamer ormai inappellabile)  in cui si vantava di aver “fregato” i giudici francesi. Anche per questo, non ebbe successo una sua querela contro Ezio Mauro e un altro giornalista, per il loro ennesimo rinfacciargli la vicenda.

Il suo matrimonio con la ricca Marina Doria (figlia di un industriale svizzero di origini genovesi) non fu per nulla gradito a Umberto II, che si considerava ancora capo di una Casa reale: celebrato con una bizzarra doppia ritualità prima civilmente a Las Vegas (tendenza per l’azzardo?), poi a Teheran nel 1971 in era pahleviana sì ma pur sempre in una terra con, forse, non più di una dozzina di prelati cattolici, ne nacque l’attuale pretendente Emanuele Filiberto che, stravaganti ma non irrilevanti presenze televisive a parte come Ballando con le stelle, vorrebbe essere a tutti gli effetti il rappresentante delle tradizioni, e velleità più o meno dichiarate, di un casato regnante per circa mille anni, dalla medioevale Savoia all’ Italia fascista. Ma il ramo cadetto degli Aosta non sembra condividere affatto tale legittimità, ritenendo che col suo matrimonio “non autorizzato” Vittorio Emanuele si sarebbe posto fuori dalla successione dinastica.

Alla ennesima predica sulle “infami leggi razziali firmate dal nonno”, una volta replicò che, in sé e per sé, in Italia ebbero un impatto meno tragico che altrove: apriti cielo, Emanuele Filiberto dovette cospargersi il capo di cenere e chiedere scusa in vece paterna.

Non si può, ovviamente e scontatamente, fare la Storia col senno di poi. Ma credo proprio che, se quel 2 giugno 1946 fosse stato esente da qualsiasi dubbio di brogli e senza le minacce socialcomuniste e quindi le cose fossero andate differentemente, e se la sua formazione personale fosse stata completamente diversa, Vittorio Emanuele IV sarebbe stato un capo di stato con nulla da invidiare a centinaia di presidenti corrotti diffusi per il mondo negli ultimi due secoli, o appiccicaticci e frutto di compromessi e manovre politiche se non politicanti.

A. Martino

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