L’ANTIFASCISMO E’ COME L’ACETO: PIU’ PASSANO GLI ANNI, PIU’ SI INASPRISCE. ANCHE SE I FASCISTI CHE POI FECERO GRANDI COSE NELL’ITALIA RINATA E COESA SONO ORMAI TUTTI MORTI (O FORSE PROPRIO PER QUESTO).

La rinascita italiana dalle macerie belliche fu resa possibile, anche e per nulla secondariamente, dalla proverbiale pietra tombale che il buon senso (o la necessità) imposero al Sistema, pur antifascista per radici e vocazione e irritrattabile determinazione sancita anche dalla costituzione repubblicana e da normativa penale. Vi furono le famose “epurazioni”, ma viste in fondo come un contentino alla Sinistra più arrabbiata e stalinista e il più possibile limitate in soggetti da sanzionare e durata nonchè durezza delle emarginazioni o delle non molte condanne detentive.

Non si può non notare come, se si fossero applicati gli standard di crescente isteria retroattiva di questo quarto di secolo e degli ultimissimi anni di quello trascorso, la vita pubblica italiana fino a qualche anno fa ne sarebbe risultata incredibilmente e paurosamente impoverita in qualsiasi campo compreso quello puramente mondano. In un certo senso, la follia woke appare molto comoda e convenzionale: applicare ora una monomaniacale damnatio memoriae non tanto verso i morti quanto piuttosto verso le loro scelte, non ha in fondo alcuna controindicazione e reazione ( i più hanno ben altro cui pensare) a parte quella di plagiare le generazioni più giovani, distruggerne il senso critico, e rendere impossibile cioè non seriamente motivata una reale scelta ideologica.

Come accennavo, però, la “cancel culture antifa” all’italiana mantiene un vago retaggio della mitezza delle epurazioni nostrane, nel rivolgersi più al contesto culturale, alle circostanze e alle idee che respinge istericamente e tappandosi le orecchie a qualunque replica; che alle persone, salvo ovviamente un Mussolini stesso, e i massimi gerarchi che non entrarono nel mercato delle vacche del 25 luglio. Arranca la damnatio memoriae verso un Maresciallo Rodolfo Graziani con la sua cappella funebre (che dicono “mausoleo”) al paese natale nel frusinate, come si può pensare che venga messo all’indice il carisma unico e beffardo di un Raimondo Vianello o si inveisca, oltre i comunicati ANPI, contro un mostro sacro del palcoscenico quale Giorgio Albertazzi?

Non siamo fortunatamente nella rigida e telecomandata Germania (vedi il mio articolo del primo luglio 2020 sulla scomparsa repentina e precipitosa delle repliche delle indagini dell’ ispettore Derrick dagli schermi teutonici, imposta anche sui nostri, appena si seppe dei trascorsi dell’ interprete Horst Tappert nelle SS).

D’altronde, solo negli ultimissimi anni la RAI e il main stream hanno chiesto nientemeno che a una certa Alessandra Mussolini figlia di un figlio del Duce, una radicale abiura in visione del mondo e della vita.

Ricordiamo, a titolo puramente esemplificativo e di utilità per i più giovani, un pugno di personalità assolutamente significative in quel senso. Impossibile un elenco minimamente esaustivo.

Raimondo Vianello (1922-2010) a seguito della sua adesione alla Repubblica sociale italiana come sottufficiale dei bersaglieri, nel 1945 venne detenuto dagli Alleati nel campo di Coltano, come diversi dei personaggi che citeremo. Al di là del teatro di varietà e cinema, per gli italiani nati fino agli anni Settanta, Raimondo Vianello assieme alla moglie Sandra Mondaini significò Televisione di qualità e animatrice di serate familiari letteralmente memorabili: scanzonata e mai volgare, ironica, sempre significativa fino al ritratto di costume, e fino all’ultima puntata di Casa Vianello il 15 aprile 2007.

Affermò di non rinnegare “né Sanremo né Salò”.  

Walter Chiari (1924-1991) si arruolò invece nella decima flottiglia MAS (una T shirt col logo della quale poco tempo fa “ infiniti lutti addusse”..a Enrico Montesano) , e poi addirittura, come si seppe dopo la sua morte, proprio nella Wehrmacht (con impiego nella contraerea in Francia). Walter Chiari pure, diede tanto a tutte le arti recitative TV compresa (vedasi la surreale gag del “sarchiapone”), ma la sua carriera inciampò nella solita accusa a sfondo narcotico (non certo per i trascorsi dalla parte dei vinti). Uomo molto apprezzato dalle donne, fu protagonista della Dolce Vita con pessimi rapporti con i mitici “paparazzi”; ebbe un lungo flirt persino con Ava Gardner.

Enrico Maria Salerno (1926-1994) fu allievo ufficiale della Guardia nazionale repubblicana. Giganteggiò soprattutto in teatro e cinema, grande interprete drammatico e dalla dizione inimitabile. Anch’ egli tombeur de femmes, fu compagno di Veronica Lario prima che conoscesse Silvio Berlusconi.

Enrico Ameri (1926-2004), futuro grande giornalista e radiotelecronista sportivo caro a tutti gli italiani, anch’egli militò nella Guardia nazionale repubblicana (la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale ricostituita dopo l’otto settembre meglio nota come “camicie nere”).

Ugo Tognazzi (1922-1990) appare sicuramente più defilato, eppure la sua cremonesità fa apparire quel piccolo lavoro all’Ufficio ammasso e fieno di Cremona, oltre ai suoi primi passi teatrali al nord senza alcuna insofferenza politica, probabilmente “raccomandati” dal famoso “ras” di Cremona Roberto Farinacci. Non certi i suoi trascorsi militari, se non quello da “colonnello” della commedia italiana assieme a Nino Manfredi e Vittorio Gasmann; tutti e tre appena un passo dietro il monumentale Alberto Sordi.

Grande e indimenticabile Ugo Tognazzi, ovvero l’italiano medio e comune sempre sospeso fra il tragico e il ridicolo. Da visione scolastica dovrebbe considerarsi I mostri (1963, regia di Dino Risi),

Giorgio Albertazzi (1923-2016) fu sottotenente della Guardia nazionale repubblicana (Legione Tagliamento). Tra i massimi interpreti drammatici e tragici del teatro italiano, rischiò grosso per l’accusa (ovviamente di dubbia o nulla legittimità dato che il diritto penale non è retroattivo) di aver comandato il plotone di esecuzione di un capo partigiano, circostanza mai sufficientemente provata. Più di una volta rivendicò con sereno orgoglio questa pagina della sua vita, ritenendola perfettamente congrua con il suo ambiente familiare e l’asprezza di quegli anni.

Ma figure del genere non furono certo presenti solo nello spettacolo e nella recitazione.

Giuseppe Romagnoli (1872-1966) medaglista e incisore, fu autore durante il Ventennio tra l’altro di tutta la serie Impero (le monete coniate tra il 1936 e il 1943), ma anche di tutte o quasi le monete della prima repubblica (le sue 100 lire e 50 lire sono state battute dal 1950 al 1995). Le mani di chi quindi raffigurò plasticamente le “detestabili retoriche mussoliniane” oltre che gli “esecrandi simboli fascisti” sulle monete nelle tasche degli italiani nonché il magnifico classicheggiante ritratto del vecchio Vittorio Emanuele III “ che firmò le leggi razziali blablabla”, osarono poi realizzare non solo le le allegorie repubblicane e democratiche sui nostri spiccioli ma anche svariate monete vaticane e quelle della Somalia in Amministrazione fiduciaria (1950-1960).

Gino Boccasile (1901-1952), disegnatore e illustratore sommo, autore tra le cento altre di una incompiuta illustrazione del Decamerone oltre che di infinita pubblicità, fu autore di decine e decine di affascinanti manifesti di propaganda del periodo “imperiale”, ma anche della RSI (sotto la quale indossò pure la divisa di tenente delle SS Italien per cui non mancò di realizzare un ispirato manifesto per l’arruolamento volontario). Prima della sua morte prematura, diede un ultimo segno di coerenza disegnando materiale per il Movimento sociale italiano. Per me all’apice della creatività, il colossale samurai che distrugge con la sua katana una corazzata statunitense; o il tragico omaggio ai bambini di una scuola milanese massacrati da un bombardiere americano.

I manifesti di Boccasile sono molto ideologicamente espliciti nel messaggio, a volte anche innegabilmente violenti fino a una certa truculenza (fucilazioni alla schiena, pugni corazzati che schiacciano traditori e partigiani, razzismo nel disprezzo verso il multietnico e stupratore esercito USA, etc.). Oggi un suo manifesto originale fa sicuramente inorridire le anime candide ma di sicuro, se non conobbe mai colla e muro, costa una cifra inarrivabile almeno per il sottoscritto e con buon pace dei suddetti benpensanti. Dopo una effimera problematica con la “giustizia” dei vincitori, i suoi disegni invasero nuovamente i muri d’Italia con prodotti iconici nella rinascita italiana quali i formaggini Mio, le moto Bianchi, o l’amaro Ramazzotti.

Nicola Pende (1880-1970), fu grande endocrinologo (studioso delle glandole umane a secrezione interna quali la tiroide o la pineale). Egli sviluppò la endocrinologia in biotipologia, ritenuta la eugenetica cattolica in quanto priva delle conclusioni, e soprattutto, dei metodi spietati di quella nazista; neoscienza molto apprezzata negli altri paesi latini e in Sudamerica, è stata sostanzialmente abbandonata per la scorrettezza politica di gran parte dei suoi postulati e analisi. Nicola Pende fece infatti una mezza abiura politica, ma non certo scientifica e antropologica; anche a guerra finita, transumanesimo e postumanesimo di massa erano ancora alquanto lontani. Ad esempio, L’Europeo nel 1964, XX 2 agosto 1964 (n.31 p.30) riportò questa sua affermazione: «Ho scoperto con le mie osservazioni fatti importantissimi. Ho trovato ad esempio, che negli omosessuali, vera piaga della società moderna, la pineale risulta sempre calcificata: una piccola pietra. Operando su alcuni soggetti innesti di pineale di vitello sono riuscito a guarirli, a normalizzarli.»

Il professor ed ex senatore Pende, che affermò con successo di aver ritrattato la sua firma al Manifesto sulla razza pur senza riscontri oggettivi, nel 1925 fu il primo rettore della Università adriatica Benito Mussolini; nel 1938, con il patrocinio di Mussolini per l’E42, avviò la costruzione dell’Istituto Centrale di Bonifica Umana finanziato dal Pio Istituto di S.Spirito e Ospedali di Roma.

Scampato, come accennato, a un procedimento di epurazione, mantenne la cattedra di Patologia medica fino al 1955, anno del pensionamento. A suo favore giocò comunque l’essersi adoperato per salvare diversi ebrei romani dai rastrellamenti nazisti, e l’aver rifiutato incarichi prestigiosi in RSI preferendo nascondersi nella basilica di San Paolo fuori le mura.  

A. Martino

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