SINDROME DELL’IMPERO: TRUMP E MUSK COME TIBERIO E SEIANO

L’Italia, con tutti i suoi difetti, possiede senz’altro il pregio indiscusso di essere un prius e, in quanto tale, di indicare sempre la strada. Ciò che sta accadendo oggi, infatti, pur nelle sue peculiarità, lo abbiamo già vissuto migliaia di anni fa. Se siamo davvero senzienti e lucidi, possiamo prevedere con estrema precisione l’evoluzione degli eventi.

Facendo un parallelismo tra le tensioni esplose in questi giorni tra Trump e Musk e il rapporto storico tra Tiberio e Seiano, possiamo ragionevolmente ipotizzare che, alla fine, Trump — come Tiberio — avrà la meglio sul vecchio prefetto del pretorio (cioè Musk), scegliendo come suo collaboratore più fidato un nuovo “pretoriano”: Macrone, ovvero Steve Bannon, destinato a giocare un ruolo tutt’altro che marginale nel “dopo Trump”.

Gli uomini sono, in parte, artefici del proprio destino, e sorprende che un conoscitore raffinato della storia romana come Musk abbia commesso l’errore di minacciare il tycoon con i famigerati “Epstein Files”.

Trump, infatti, quando fu eletto presidente per la prima volta, vi riuscì senza l’aiuto né di Elon Musk né degli altri magnati della Silicon Valley: ce la fece da solo, grazie al sostegno dell’America profonda, organizzata e ispirata da Steve Bannon, suo spin doctor della prima ora.

Musk è arrivato dopo, molto dopo. Certamente, senza di lui Trump non sarebbe stato rieletto; ma — come detto — Trump c’era già: era il fondamento stesso della casa sovranista americana. E non si può conquistare una casa e sperare di abitarla serenamente se si pensa di distruggerne le fondamenta: l’edificio finirebbe per implodere su chi ci vive.

E Musk sembra proprio non essersene reso conto. Sta infatti creando attorno a sé un vuoto, forse persino maggiore di quello già generato nei mesi scorsi dalla vecchia base trumpiana, insofferente alle sue visioni transumaniste.

Bannon, in particolare, ha espresso critiche durissime verso il patron di Tesla anche in tempi non sospetti. Lo ha accusato, tra l’altro, di voler “imporre i suoi strani esperimenti” e di “recitare la parte di Dio, senza alcun rispetto per la storia, i valori e le tradizioni del Paese”. Tali affermazioni erano un chiaro attacco alle iniziative di Musk nel campo della tecnologia riproduttiva e della genetica, ambiti che Bannon considera in aperto contrasto con i principi tradizionali.

Ha inoltre sollevato dubbi sull’approccio eccessivamente “corporate” e opportunista di Musk, più attento al profitto e all’immagine pubblica che alla coerenza ideologica. In quest’ottica, lo ha criticato per le collaborazioni con élite globali e governi, in evidente contraddizione con la retorica populista che Bannon promuove.

Non solo: Bannon lo ha attaccato anche per alcune scelte etiche, come le accuse sulle pessime condizioni di lavoro nelle sue aziende (Tesla, SpaceX) e per la gestione controversa di alcune crisi pubbliche. Ha manifestato inoltre scetticismo sulle strategie legate all’ex Twitter, oggi “X”, ritenendo che alcune decisioni stiano danneggiando la diffusione del messaggio sovranista, favorendo troppe interferenze esterne.

Ma non è tutto: Bannon ha criticato Musk anche per il presunto uso di sostanze stupefacenti — tra cui ketamina, ecstasy, funghi allucinogeni e Adderall — sulla base di un’inchiesta del New York Times che ne documentava l’assunzione durante la campagna presidenziale del 2024.

In queste ore, Bannon ha anche sollecitato un’indagine sullo status migratorio di Musk, sul suo uso di droghe e sulla sua rilevanza in termini di sicurezza nazionale, arrivando perfino a definirlo un “immigrato clandestino parassita”. Una condizione che — qualora fosse accertata — potrebbe comportare la revoca della cittadinanza, con la conseguente perdita dei benefici ad essa connessi.

Potrebbe essere l’ennesimo “caso Prigozhin”. Fatto sta che — già in un’altra occasione — Trump preferì Bannon a Musk: accadde nel Regno Unito, nella vicenda che vide contrapposti Nigel Farage e Tommy Robinson. In quell’occasione, prevalse la linea del primo sul secondo. E se oggi c’è qualcuno che ha più da perdere tra Trump e Musk, quel qualcuno è proprio Musk.

La minaccia del tycoon di revocare le concessioni governative alle imprese del magnate sudafricano non è affatto aria fritta. Parliamo infatti di contratti con la NASA e il Dipartimento della Difesa per il trasporto di astronauti (Crew Dragon), satelliti, cargo, nonché di lanci militari per la US Space Force e la Navy. Il valore complessivo supera i 20 miliardi di dollari tra assegnazioni dirette e gare vinte.

A questi si aggiungono oltre un miliardo di dollari in incentivi e sgravi fiscali statali e federali concessi a Tesla — solo per la costruzione della Gigafactory in Nevada —, contratti per batterie e tecnologie energetiche, nonché appalti e permessi accelerati concessi a tutte le aziende dell’universo Musk. Se tutto questo venisse meno, i flussi di cassa — soprattutto in Tesla e SpaceX — ne risentirebbero pesantemente, con conseguenze potenzialmente devastanti.

Intanto, il titolo Tesla ieri ha già perso in Borsa il 14,26%, senza contare i 160 miliardi di dollari evaporati da quando Musk è sceso in campo, cioè dall’inizio del 2025, passando così da un patrimonio di 480 a 320 miliardi di dollari.

Ma il danno non finisce qui: molti politici e leader nazionali che in giro per il mondo si erano avvicinati a Musk per ottenere un canale preferenziale con la Casa Bianca, ora — vedendolo politicamente in disgrazia — si allontaneranno, revocandogli anch’essi contratti promessi o già sottoscritti.

Non dev’essere un caso, dunque, il riavvicinamento della Meloni a Macron proprio in questi giorni. Ma si sa, “la gatta frettolosa fece i figli ciechi”… e nessuno considera che questa defezione di Musk — voluta o forzata — potrebbe favorire un riavvicinamento degli Stati Uniti alla Russia, specie in ambito spaziale, dove i motori RD-180 di produzione russa si sono sempre dimostrati affidabili.

Per la cronaca, nelle ultime ore Musk ha cercato Trump per potergli parlare di persona, ma l’ex presidente non sembra particolarmente interessato. D’altronde, quando l’allievo vuole superare prematuramente il maestro… fa sempre una brutta fine. Ed è un peccato, perché insieme, quei due, avrebbero potuto davvero riscrivere la storia dell’umanità.

Lorenzo Valloreja

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *