LA REPUBBLICA DEGLI “SBALORDITI”. ULTIMO SBALORDIMENTO, QUELLO DINANZI ALL’INFERNO CARCERARIO.

Ormai si va consolidando un fastidioso e particolarmente ipocrita fenomeno di costume e istituzionale: quello dello “sbalordimento”.

Che realmente tale non è, perché i vari “sbalorditi” e “condannanti”, per occupare poltrone ministeriali, parlamentari, ecc., saranno pure dei gran furboni, dei cinici, saranno disposti a passare sul proverbiale corpo della madre, ma una cosa non sono: non sono ingenui e candidi, sanno come va il mondo o almeno l’Italia, anzi ne sanno, se non altro per corso accelerato nelle stanze dei bottoni, più di noi che scriviamo L’ Ortis e di voi che ci seguite e leggete.

Ecco quindi che la “democrisia” di cui poco fa ha parlato Povia, attiene non solo agli ormai scontati Pensiero Unico e politicamente corretto, ma anche alla percezione della realtà da inculcare nelle masse.

Qualunque pubblico stipendiato agirebbe con lealtà assoluta e abnegazione, con costituzione e codici sul comodino; i medici non vogliono altro che tutelare salute e vita dei pazienti; gli avvocati sono solo interessati a che il Vero trionfi in aula di tribunale; e altro fantasticando.

E quando la realtà viene a galla, solitamente, bisogna ammetterlo, perché da qualche parte vi è una toga intenzionata a non “archiviare” ma a incidere in piaghe purulente, arriva appunto lo “sbalordimento”.

“E’ una vergogna”, “la Costituzione è stata vilipesa”, “si tratta di mele marce”.

Prendiamo l’ultimo sbalordimento di regime sulla presunta esplosione di violenza nel penitenziario di Santa Maria Capua Vetere nel marzo 2020, con ben cinquantadue sospensioni dal servizio a carico di altrettanti agenti di custodia e personale penitenziario. A parte che qualcuno in altissimo loco ha fatto strame della presunzione di innocenza già condannando moralmente gli indagati (in tempi di prima repubblica si sarebbe tenuto un dignitoso e imbarazzato silenzio), io gli farei semplicemente notare questo.

Da che mondo è mondo, le carceri, galere, campi di concentramento, bagni penali e tutto quello che si vuole, sono i luoghi della vendetta della società per i propri torti reali o presunti.

Sono ormai due secoli e mezzo che la tortura ha cominciato a essere abolita come strumento giudiziario (primo stato proprio l’asburgica Toscana), ma ciò non toglie che chi ha uno straccio di potere nei confronti di un altro, in tutto il mondo, possa torturare (non solo psicologicamente, magari, milioni di persone); e possa ferocemente riaffermare, in caso di levata di testa dei propri custoditi, il suo potere. Qui poi, entrano in ballo motivazioni psicologiche totalmente soggettive; frustrazioni, sadismo, delirio di onnipotenza….

Insomma: il caso Cucchi non ha lasciato intuire nulla? E quello della pazza caserma dei carabinieri a Piacenza?

Perché però la commedia dello “sbalordimento” abbia effetto, occorre che l’opinione pubblica sia sufficientemente lobotomizzata e rimbambita. In questo l’eclissi del Cinema (quello reale descrittivo ed emozionale, non quello “costituzionale” di cui parlava Lucio Fulci con un certo disprezzo) ha giocato un ruolo essenziale.

Suggerisco quindi un mini cineforum personale, per capire la realtà della situazione carceraria, basato su questi due film: Detenuto in attesa di giudizio con il mitico Alberto Sordi (regia di Nanni Loy, 1971), e Il camorrista (1986) con Ben Gazzara (regia di Giuseppe Tornatore, 1986). Una selezione puramente esemplificativa, e che fa sicuramente molti torti.

Sono film datati, da allora non è cambiato nulla? Ebbene, temo proprio di no.

A. Martino

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