GOD SAVE THE KING! CARLO III PER UN GIORNO “RE DEL MONDO”. E IL REPUBBLICANESIMO NICHILISTA E BELLACIAO DEVE ROSICARE….

Che coraggio, quello di Carlo III di Gran Bretagna e Irlanda del nord. Se già non fossi monarchico (dei Savoia non mi importa molto, ma mi affascina la mistica della regalità di cui il sovranismo è inconsapevole e approssimativo erede), lo diventerei. A parte che quel “sono venuto per servire e non essere servito” sarà pure retorico, ma fondamentalmente sincero e nel mondo degli “abusi di potere” cantati da Battiato, quasi commovente. 

Coraggio forse superiore a quello del fratello Andrea (miseramente caduto in disgrazia per il caso Epstein) durante la riconquista delle isole Falkland, o sicuramente a quello del famoso “spare” (ipse dixit) Harry che in Afghanistan fece il tiro al talebano.

Nessun Savoia, almeno da Vittorio Emanuele II già come sovrano non italiano ma sardo-piemontese, fu incoronato; nemmeno gli ultimi Borbone di Napoli; e i restaurati Borbone di Spagna (Giovanni Carlo e Filippo) neanche a pensarci, appena una seduta solenne alle Cortes e un giuramento in alta uniforme. Mi permetto di rinfrescare la vostra memoria storica facendovi notare che le ultime incoronazioni regali in Europa furono, nell’ordine temporale, quella di Francesco Giuseppe d’Austria-Ungheria a Re di Ungheria nel 1867 come quella del successore Carlo nel 1917, quelle degli zar di Russia fino a Nicola II nel 1894, e quelle nel Novecento di tutti i sovrani britannici predecessori di Carlo III ad eccezione del prozio Edoardo VIII che nel 1936, per la sua repentina abdicazione (a causa di matrimonio con una americana bidivorziata), neanche ci riuscì. Potremmo considerare pure i papi, fino a Paolo VI che quasi se ne vergognò donando il triregno ai cattolici americani (per il modernismo e ahimè per lui, era ormai “quell’affare d’oro da re che ti mettevano sulla testa”).

Perché appunto di coraggio, ce ne vuole “tutto anzi parecchio” come avrebbe detto Iannacci, ad indossare in Mondovisione manto e strascico di ermellino siano pure “reworn”, facendosi calare sulla testa assieme alla propria consorte tanto di favolosa corona mosaico di diamanti e oro in cui perle come mandorle o ciliegie sono una specie di riempitivo da quattro soldi, e reggere con le mani Globo sormontato da croce e scettro. Niente effetto Bokassa, però: scongiurato dall’affondare radici non in una estemporanea megalomania neroniana e nemmeno napoleonica, ma in mille anni di tradizioni e Tradizione.

Fantastico: una favola per i dissidenti in blocco del Sistema, come il sottoscritto, e una follia per il main stream che però è costretto, in un mondo repubblicano più per conformismo che per reale ragionamento, a concedere dirette TV planetarie a questa vecchio signore ambientalista ante litteram dal tormentato passato coniugale (il fantasma di Diana), che per almeno un giorno, è assurto all’incredibile ruolo, oserei dire, di World King. 

Le favole sono belle però contrastano con la realtà: Carlo III (che anche qui coraggiosamente, porta il nome del predecessore di casa Stuart cui Oliver Cromwell tagliò la testa) non è un redivivo Carlo Magno o il piissimo Edoardo il Confessore sul cui spartano seggio medioevale è stato incoronato. Come già ebbi modo di ricordarvi, la monarchia britannica è ai massimi livelli della Cupola mondialista e il suo ruolo è proprio quello di garantire l’allineamento del Regno Unito che resta tuttora una potenza militare di primo piano (si è visto con le forniture e gli appoggi di intelligence all’ Ucraina).

Certe dinamiche sono difficilmente ricostruibili, passando per le segrete stanze di Davos o Bilderberg o delle Logge, ma fondamentalmente è questo il motivo per cui l’ultima grande monarchia rimasta è quella britannica. E il Regno Unito non è affatto terra timorata di Dio cui oggi, in un rito che Carlo III ha voluto inclusivo anche di preghiere non anglicane e non cristiane (atto tutto sommato saggio e lungimirante in un regno ormai multietnico), innumerevoli preci si sono levate e infiniti “God save the king” si sono gridati.

Siamo in una delle prime terre abortiste dove oggi non si può pregare in prossimità delle cliniche dove si va ad abortire, tanto per ricordarne una. Ma tanto qui è lo stesso, con la differenza che le tradizioni più gloriose e pregnanti che abbiamo ai massimi vertici istituzionali sono la scarrozzata del presidente della repubblica appena eletto in Lancia Aurelia d’epoca, o il cambio della guardia dinanzi al Quirinale o la campanella di Palazzo Chigi. E con la differenza inoltre e soprattutto che dal 1946, per quanto mi riguarda, ci dobbiamo sorbire come inquilini di una reggia prima del papa-re e poi dei re d’ Italia, una serie di politici più o meno marpioni o più o meno dignitosi, che giocano per sette anni a fare il re non tanto costituzionale, dato che ci provano sempre più gusto facendosi pure rieleggere, e allargandosi le competenze da Scalfaro in poi.

I principali rischi per Carlo III li vedo non tanto nel movimento Republic dei soliti rompiscatole bellaciao, quattro gatti  probabilmente finanziati da qualche turbocapitalista di opposta fazione, ma nel mai domo secessionismo scozzese (ben grato a Bruxelles dopo la Brexit); e ancora di più, nell’infantilismo istituzionale di quei paesi del Commonwealth tra cui in primis Canada, Australia e Nuova Zelanda, che dopo la morte di Elisabetta II, trovano il figlio non così simpatico come la mamma (chissà chi altri c’è dietro).

Auguro comunque anche io “che Dio salvi il re”; il quale (aiutati che Dio ti aiuta) ha senz’altro le sue leve da azionare.

A. Martino    

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