REVENGE PORN, PRIVACY, DIRITTO ALL’OBLIO … TUTTE BELLE PAROLE MA CHE, IN INTERNET, DI FATTO, CONTANO TANTO IL 2 DI COPPE QUANDO AD ESSERE BRISCOLA SONO I “BASTONI”.

Chi di noi non usa il cellulare?

Tutti gli italiani ne hanno ormai almeno uno e come nuova mala creanza, con esso, trascorrono ore ed ore sui social: facebook, instagram, twitter, tic toc, vk … e chi più ne ha, più ne metta.

Ma a fare che?

Spesso a perdere tempo, molte altre a spettegolare, spiando magari Tizio, per sapere dove sia in vacanza, piuttosto che Caio, per sapere cosa stia mangiando o vedere Sempronio se sta ancora uscendo con quella ragazza che tanto ci piace, altre volte chattando.

E, chattando chattando, galeotto fu quel messaggio che accese di passione gli amanti digitali.

Si, perché, se non vogliamo essere bacchettoni o far finta di nulla, dobbiamo ammettere che molti amori nascono, si consumano, e muoiono in rete.

Internet, come una nuova immensa piazza, permette a chiunque di incontrare chiunque e questo significa,  anche, aumentare, di molto, il proprio raggio d’azione: più opportunità, più conoscenza, più capacità di scelta.

“Lo stop”, che tanto si usava tra gli anni 70 e 90 del secolo scorso, oggi, secondo la morale comune, sarebbe da denuncia. Pensare infatti di fermare per strada una ragazza, possibilmente sconosciuta, con una semplice scusa per poi attacar bottone e quindi frequentarla, è da folli … oggi, ci si conosce prevalentemente entrando nel giro di una comitiva, a meno che, non si tenti l’approccio diretto in rete.

Allora, in quel caso, valgono le vecchie regole e per certi versi, grazie alla distanza ed alla impersonalità della macchina, cadono più facilmente anche i freni inibitori e c’è chi si lascia andare ad uno scambio con il proprio partner di foto e video osé.

Tutto come da programma, potreste pensare voi, se non fosse che, la rivoluzione digitale, oltre a portare nuove opportunità ed annullare le distanze, ha ingenerato una genia di delinquenti della peggior risma: gli hacker!

Questi signori, con vari mezzi e mezzucci, cercano di intrufolarsi nei nostri computer, piuttosto che cellulari o tablet, attraverso mail o messaggi da piattaforma social, per controllare i nostri profili, rubare foto, video e dati, ed alla fine ricattarci.

È successo così, a due miei carissimi amici, che i loro profili venissero hackerati da un gruppo di Nigeriani, cioè – per intenderci, per chi fosse ancora poco avvezzo a internet – che questi ultimi prendessero il controllo, ad uno del proprio profilo facebook e all’altro del profilo instagram, escludendo così i malcapitati da ogni azione di comando e controllo, presente e futura.

In altre parole, i due malcapitati non erano più padroni delle proprie foto, dei post, e dei video in essi contenuti.

Da quel momento in poi, ad agire in rete, con le facce dei malcapitati ed il loro relativo nome, erano questi nigeriani.

Ebbene, costoro – non potendo chiudere i loro profili né riprenderne il controllo, perché gli hacker avevano prontamente cambiato le password di accesso – si sono recati immediatamente alla Polizia Postale, la quale, a parte ricevere la denuncia dei due malcapitati e dare loro qualche parola di conforto, nulla ha potuto fare perché questi criminali operano da un altro Paese, per giunta fuori dall’Unione Europea, la Nigeria, e nel quale la criminalità la fa letteralmente da padrona.

A questo punto, le vittime si sono rivolte direttamente ai due social, per tentare di fermare i propri profili impazziti, ma, bizzarrie della modernità, non vi è nessun numero di telefono per far interagire direttamente gli utenti con i gestori della piattaforma. L’unica cosa da fare, a parte far segnalare dai propri amici, attraverso un apposita schermata, l’avvenuto hackeraggio del proprio profilo ed i contenuti sconvenienti pubblicati, è quello di inviare delle mail al gestore della piattaforma, la quale, bellamente, “se ne fotte” lasciando al pubblico ludibrio  i due sfortunati utenti.

Trascorsi alcuni giorni di agonia mediatica – e solo dopo aver distrutto, prima le famiglie e poi le carriere, di questi due “sciagurati” – gli hacker nigeriani, non vedendosi accreditare il becco di un quattrino, li hanno lasciati perdere, nel senso che non li hanno più tormentati, ma i vecchi profili sono ancora li, non utilizzabili dai titolari ma sempre alla mercé di questi squali.

Ora una domanda ci sorge spontanea: Ma com’è che questi social sono prontissimi a bannare tutti quelli che esprimono concetti politici ritenuti scomodi al mainstream mentre fanno spallucce quando l’utente di turno, ricattato e vessato da dei ladri d’identità, chiede aiuto?

È vero che l’utilizzo di queste piattaforme, nella stragrande maggioranza dei casi, è gratuito, ma è altresì vero che esse sono diventate dei veri e propri imperi economici grazie al commercio dei nostri dati, dunque, se ciò è reale, devono necessariamente fornire dei servizi adeguati ai propri utenti, servizi che non possono ridursi alla compilazione di un “form” che per forza di cose non può comprendere tutte le possibili problematiche che un navigatore può incontrare, o ad un indirizzo e-mail al quale scrivere e da cui, nel 100% dei casi, non si riceverà mai nessuna risposta.

Esistono infatti anche i cosiddetti casi “particolari”, come ad esempio l’impossibilità, per taluni, di procedere all’identificazione a due fattori, il che rende vano ogni tentativo di riappropriarsi del proprio profilo.

In altri termini, secondo noi, i Governi nazionali dovrebbero obbligare i vari social alla chiusura immediata di un profilo, dietro richiesta del titolare dello stesso, nel momento in cui questi invia alla piattaforma l’ufficiale denuncia di hackeraggio presentata presso un organo di Polizia che ne certifichi l’autenticità e non lasciare per settimane, se non per mesi, al pubblico ludibrio il malcapitato.

Altrimenti le varie morti dovute al “Revenge porn” non ci hanno insegnato nulla.

Ma d’altronde, di cosa vogliamo lamentarci se anche il modello per la lotta al “Revenge Porn”, scaricabile dal sito del Garante della Protezione dei Dati Personali, è macchinoso e poco fruibile?

Infatti la prima cosa che viene richiesta per accedere al servizio è: lo Spid, o la CIE o l’eIDAS. Se non si ha nessuna di queste tre tecnologie, cosa tra l’altro che può accadere, bisogna accedere ad un form da compilare nel quale, però, viene chiesta una PEC che, come per i tre sistemi di riconoscimento appena citati, non è detto che sia, per forza, nelle disponibilità di un utente.

Insomma, rivogliamo i vecchi numeri di telefono in cui era possibile “parlare con un omino” in carne ed ossa, che ci comprenda e ci risolva il problema e non che ci rimpalli da un problema ad un altro.

La rete ci è stata prospettata come un paradiso, ma se non la sappiamo usare o siamo superficiali o ingenui, essa può diventare un vero e proprio inferno per un “cittadino comune”.

Bisogna esserne coscienti perché la conoscenza rende sempre liberi!

Lorenzo Valloreja

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