DOPO TRENTA ANNI, LA CHIESA A POTENZA NON CHIEDE ANCORA PERDONO PER LA TRAGEDIA DI ELISA CLAPS, ANZI …

Sia detto senza giri di parole, e senza fumo tradotto (si fa per dire) in lingua italiana. Che una ragazza di sedici anni, in una mattina domenicale del 1993, si rechi in una chiesa di Potenza per assistere alla Santa Messa ed ivi scompaia come risucchiata in un buco nero, per riemergerne (in poveri resti su cui il flusso del tempo fu parzialmente arginato da “favorevoli” condizioni ambientali) nel suo sottotetto dopo ben diciassette anni, è segno di una Chiesa malata, già da prima della postcattolica e ultramodernista stagione bergogliana.

I poveri resti mortali di Elisa Claps furono trovati (casualmente, o qualcuno decise di porre fine alla vergognosa congiura almeno in parte?) durante lavori di ristrutturazione della chiesa della SS.ma Trinità, e quello che fu il principale sospettato all’epoca, coperto da una incredibile rete di depistaggi, omertà e favoreggiamenti i cui moventi sono ancora troppo comodamente ascritti all’ “ambiente provinciale”, fu condannato entro relativamente pochi anni, in via definitiva a trenta anni di carcere, anche se in Inghilterra già ne stava scontando quaranta per analogo crimine.

Tutta la costellazione di imputazioni a corollario per favoreggiamento e simili, sono state falciate e dalla prescrizione, e dalla morte come nel caso del parroco della chiesa che si accanì a non far accedere nessuno all’area maledetta, e incredibilmente lo ottenne, e che dichiarò a più riprese di non conoscere né la vittima né l’assassino (assassino che, egli stesso, ammise di aver incontrato nella chiesa la povera Elisa).

Ma non mi interessa qui ripercorrere, cosa che altri hanno molto meglio fatto, la dolorosa via crucis della famiglia Claps (le uniche persone che ritengo  doverosamente da ricordare per nome e cognome, tutti gli altre qui non sono degne neanche di questo), quanto piuttosto individuare nello sdegno popolare dinanzi alla riapertura, ad agosto, della chiesa in questione, e domenica cinque novembre, della prima Messa celebrata nientemeno che dallo stesso vescovo locale, un moto assolutamente degno di comprensione anzi di condivisione. Pur non potendo di certo giustificare, ma neanche comprendere le venature blasfeme che le contestazioni hanno assunto, anche nei confronti dei fedeli: eppure, l’associazione Libera avrebbe una matrice più o meno cattolica.

Ma con l’atto insensibile e, diciamolo, strafottente quanto autoreferenziale della piena riapertura al culto, la curia potentina, nonostante sorrisetti, dialoghi, e belle parole, se l’è andata, come si dice, a cercare. Ma fa ancora in tempo a fare una sola e semplice cosa: chiedere, per una buona volta, scusa, anzi perdono, per l’orrore tollerato, coperto e mistificato. E’ ancora in tempo per smettere di servire ai cupamente evangelici “due padroni”. Anche se non solo in ambito ecclesiastico, si è coperto, insabbiato, depistato. Fino al ritrovamento del cadavere, polizia e magistratura non svolgono, certamente, un ruolo eroico; tutt’altro.

Certo, il calendario per la totale normalizzazione del luogo di culto, dal punto di vista ecclesiastico è stato particolarmente sfortunato: una “fiction” di RAI 1 di buona fattura, che si concluderà domani, di sicuro non ha aiutato, anzi.

E’ mancato “un adeguato dispositivo di sicurezza a garanzia dei diritti costituzionali”, ha comunicato l’arcidiocesi lucana, che molto probabilmente nulla ebbe da eccepire al divieto del culto da parte del governo Conte durante la cosiddetta pandemia. La stessa liturgia, in effetti e purtroppo, è stata più volte interrotta con schiamazzi, urla ed epiteti.

Lo ha scritto l’Arcidiocesi di Potenza, esprimendo “profondo rammarico e sconcerto” per “le offese, ingiurie, atti di sopraffazione della volontà e della libertà altrui” attuati dai partecipanti ad un presidio promosso da “Libera” che hanno contestato in particolare l’arcivescovo, proprio per la decisione di tornare a celebrare Messa nella chiesa.

Il Presidio di Libera “Elisa Claps-Francesco Tammone” che da tempo sostiene la famiglia di Elisa e il suo infaticabile quanto appassionato fratello Gildo, ha da parte sua espresso rammarico per gli eccessi verificatisi, ma ascrivendoli a un contesto di esasperazione civile, e facendo notare come al sit-in abbiano partecipato intere famiglie dai nonni ai nipoti.

Proprio la nutrita e accesa partecipazione popolare ha fatto sì che il presule e gli altri sacerdoti abbiano dovuto essere scortati, finita la funzione liturgica.

L’eclisse del Sacro non dipende solo da tutta una situazione epocale di materialismo e nichilismo su cui possiamo stare ore a filosofare, ma anche dalle oggettive non credibilità, non autorevolezza, ambiguità e discutibilità di chi il Sacro dovrebbe veicolare con la sua persona e attraverso atti e parole.

A. Martino

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