GABRIEL ATTAL, “NUOVO MOSTRO” DA LABORATORIO DEL GLOBALISMO IN COPPIA GOVERNATIVA COL COMPAGNO. TRA LUI E ELLY SCHLEIN, NON SO CHI LO SIA DI PIU’.

Gabriel Attal, ancora più dell’eccentrico argentino con la motosega, è un esempio di Grande Reset da tesi di laurea in sociologia o in scienze politiche. Secondo i loro piani (se non li blocchiamo con l’artiglieria controcarro di un Trump e con la resistenza delle fortezze Cina e Russia), dilagheranno in tutto il mondo da loro considerato di interesse (forse, che so, non in Swaziland o in Tonga).

E’ nato nel grazioso borgo di Clamart nella Ile de France nel 1989, indubbiamente vicino al centro del potere (non si può quindi parlare della “provincia” dai francesi sempre guardata o con sufficienza o scaricandole complessi di inferiorità, ma in quei posti si è al riparo dalla frenesia metropolitana).  Genitori impegnati nella produzione cinematografica, anche di alto livello (un nome fra tutti, Bertolucci); l’uno di radici ebraico-tunisine, l’altra discendente da immigrati da Odessa. Ha studiato comunque a Parigi nella prestigiosa Scuola alsaziana, laureandosi poi, prima in scienze politiche e successivamente in giurisprudenza (un classico per gli aspiranti a un posto al sole nella nomenklatura). Riguardo la scuola, ha lamentato prese in giro o angherie (oggi dicono bullismo) per la sua omosessualità.

A quanto pare, non ha mai lavorato nel corrente senso del termine. Nel 2006 inizia la sua vita pubblica come agitatore studentesco socialista sotto il governo de Villepin (presidenza Chirac). Da allora, la sua carriera politica è stata inarrestabile e in geometrica progressione. Vediamone le principali tappe: consigliere comunale nella piccola Varves; scarica i socialisti e passa al nuovo movimento macroniano Republique en marche divenendone deputato e poi portavoce ufficiale; nel 2018 diviene segretario di stato all’istruzione; durante la pandemia, fu dalle sue labbra di portavoce del governo oltre che da quelle di Macron, che i sudditi della locale provincia gallica del grande impero pandemico appresero limitazioni e concessioni.

Nel 2023, in seguito a un rimpasto del governo claudicante di Elisabeth Borne, Attal è diventato ministro dell’educazione nazionale e della gioventù (il più giovane ministro della storia repubblicana francese). Il nove gennaio scorso, in seguito alle dimissioni di Madame Borne, Gabriel Attal corona la sua carriera politica dalla velocità supersonica divenendo Primo Ministro (non è il più giovane della storia francese almeno repubblicana, se si pensa al Primo Console Napoleone Bonaparte trentenne al colpo di stato del 1799).

Come dicevo, se l’esperienza politica di Gabriel Attal è ormai di tutto rispetto, devo parimenti confessare la mia meraviglia nell’apprendere la sua estraneità anche, e persino, al solito giro finanziario di banche centrali o non, e di merchant banks, che pure fa parte del curriculum vitae del suo superiore Emmanuel Macron. Certo, anche nella prima repubblica italiana, agli alti livelli, un Andreotti o un Craxi o un De Gasperi o anche un Berlinguer non avevano mai lavorato fuori dal perimetro politico-istituzionale, al massimo avevano il classico studio legale come comitato elettorale permanente: erano però rappresentanti dei loro rispettivi mondi, vero e proprie chiese laiche, se non, nel caso dei democristiani, protesi della vera e propria chiesa non ancora postcattolica.

Ho capito quindi che un Gabriel Attal, come anche una Elly Shlein, saltano ormai a piè pari la pantomima della “risorsa prestata dalla società civile” alle famose “istituzioni”, e hanno chiaramente la strada segnata da precisi DNA familiari e ambientali. Proviamo a individuarli, senza alcun moralismo o livore o pregiudizio ma con semplice analisi dei dati biografici.

Premetto che hanno potuto risparmiarsi (buon per loro) tutte quelle palle di grafici, seminari, e studi turbofinanziari e capitalistico-neoliberali: tanto, basta qualche appunto preso a Davos o in Bilderberg o Trilateral, e gli ordini si ricevono con comode email da FMI, Banca centrale europea, o al massimo da Bruxelles.

Innanzitutto, come in rigorosa applicazione delle teorie del Coudenhove-Kalergi circa il meticciato e la sostituzione etnica, parrebbe necessaria a costoro una qualche radice transnazionale o migratoria, sia in albero genealogico che in carriera. Da questo punto di vista, il buon Gabriel è abbastanza indietro e alquanto provincialotto, troppo baguette e formaggio Rochefort, rispetto alla “nostra” Elly (anche se americana naturalizzata svizzera), di appena quattro anni più senior ma con all’attivo addirittura una campagna elettorale per Sua Santità Barack Hussein Obama (costui di padre keniota). Anche una qualche ascendenza ebraica sembra non stonare affatto?

Necessaria un’assoluta gioventù, relativamente ai vertici politici sovente esperienziali fino alla  gerontocrazia: le masse lobotomizzate imparino dove il mondo va, e deve andare.

Ma comunque, l’omosessualità appare, sulla scia del canadese Justin Trudeau, per quanto dicano, non gay ma di certo sfegatato fan LGBT, requisito fondamentale. E qui, Elly mangia la polvere, blandamente bisessuale, dinanzi a un debordante Gabriel: unito in “matrimonio” con Stéphane Sejourné nel 2017 se ne sarebbe separato neanche ufficialmente. Sta di fatto che però lo ha piazzato agli Esteri, e che il forse “primo marito” di Francia si è subito fiondato a Kiev, rendendo ben evidenti le priorità globaliste e della, a quanto pare, sempre più influente lobby LGBTQI+ (vedete, quanto sono al passo con i tempi?). Al buon Bergoglio non resta che…benedire.

Liberté egalité homosexualité. Ma di libertà di opinione e parola resta ben poco, e l’eguaglianza appare ormai ciarpame populistico. Decisamente, cronache da basso Impero con relativi nani e ballerine.

A. Martino

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