ANCHE NEL CASO DI ILARIA SALIS, IN FONDO, SE L'”ANTIFASCISTA” COLPISCE IL “FASCISTA” E’ SEMPRE UN EROE.

Nel febbraio 1945, a Budapest, si svolse una battaglia tremenda con cui, da un lato forze della Wermacht e delle SS del Terzo Reich oltre che dell’Ungheria filonazista tentarono di rompere un assedio durante da un mese e dall’altro la cosiddetta Armata rossa cioè l’esercito sovietico riuscì a finalmente a entrare tra le macerie di quella che era stata la seconda sfavillante capitale dell’impero asburgico.

Nella odierna Ungheria postcomunista, democratica ed europeista (giacché la realtà è questa, con buona pace dei bellaciao nostrani e non solo) dalla fine degli anni Novanta, attorno al dieci febbraio si celebra la “giornata dell’onore” per ricordare il sacrificio di migliaia di militari germanico-magiari che non si arresero e furono massacrati in una difficilissima ritirata. L’evento è stato ideato, pare, da tal István Győrkös, un militante ungherese di destra radicale che gli amici  chiamavano “Vezető” che in ungherese sta più o meno per “Führer” o “Duce” e che fu condannato all’ergastolo per l’uccisione di un poliziotto che perquisiva (chissà se con maniere cortesi o meno) la sua abitazione.  Il Giorno dell’Onore (o con maggiore omaggio ai caduti tedeschi, Tag der Ehre, o più giornalisticamente Fortezza Budapest) è oggi organizzato e reso vitale, con un successo crescente e ben noto agli ambienti europei identitari e dissidenti, da Legio Hungaria fondata nel 2018, associazione vicina alla formazione parlamentare radicale Jobbik al cui confronto il partito Fidesz di Viktor Orbàn appare una specie di nostra vecchia DC (apprendiamo d’altronde che il premier ungherese ambisce a entrare nei Conservatori europei grazie ai buoni uffici di Giorgia Meloni).

Tale radicalismo magiaro non meraviglia affatto, se si pensa che il partito unico delle Croci frecciate che a Budapest prese il potere allorquando Hitler riuscì a deporre nel 1944 l’ammiraglio Horthy per evitare una riedizione danubiana dell’otto settembre, pareva alle stesse SS adottare metodi troppo platealmente brutali nei confronti degli ebrei in particolare.

Ebbene, Fortezza Budapest o Giorno dell’Onore che dire si voglia, almeno lo scorso anno, entrò nel mirino di una certa organizzazione tedesca antifascista (la Hammerbande cioè banda del martello capitanata da una certa Lina Engel) che da qualche anno, sicuramente con fondi globalisti del genere della sorosiana Open society, ha come “mission” molto più che il rompere le scatole a eventi e manifestazioni varie di ispirazione e contenuti sgraditi; dico molto più dato che costoro aggrediscono dimostranti pacifici (sia pure con pittoresche e per molti non gradite coreografie quali addirittura uniformi SS), e che i “martellanti” lo fanno non solo ovviamente col martello ma anche con asce o mazze e che finora il morto non lo hanno ottenuto forse grazie all’ Arcangelo Michele di codreanuiana memoria. Parrebbe proprio che Ilaria Salis e gli altri due coimputati tedeschi (che hanno già patteggiato) appartengano proprio a questo sinistro (in ogni senso) network, e che in quel fatale febbraio 2023, semplicemente, siano stati spediti a Budapest.

Il loro vero guaio, quindi, sarebbe che Budapest non è, per capirci, Roma e che la commemorazione annuale suddetta non è il ricordo dei militanti missini trucidati da estremisti di sinistra (e cosiddette forze dell’ordine) in una via dove ad ogni anniversario, si osa ricordarli ancora. Se lì avessero agito, non dubito, forse ne sarebbe venuta fuori anche una bella candidatura per il PD a non so quale elezione (ci avrei visto molto bene il parlamento di Strasburgo, dato il respiro europeo del Martello); altro che processo e altro che manette. Per quanto accaduto a Budapest, invece, mi verrebbe di citare una frase cinematografica di John Wayne: “Se sei in cerca di guai posso accontentarti”.  

Il “guinzaglio”, le manette persino ai piedi? A ruoli invertiti, sicuramente sarebbero andate benissimo, anche perché ormai le manette (quelle semplici, beninteso) in Italia si mettono magari a qualche minore che dà in scandescenze, ma vengono risparmiate, come ben sappiamo, a un Matteo Messina Denaro (pietà per i morti, ma da vivo sappiamo bene cosa avesse combinato).

Il vero problema del “caso Salis” (montato ad arte dalla stampa main stream per colpire Giorgia Meloni attraverso il suo “amico” ungherese) non è la umanità o meno del sistema carcerario ungherese, ma l’ipocrisia del “due pesi e due misure” davvero patologica come descritta, ad esempio, nel mio GIORNALISTA AMERICANO ARRESTATO IN RUSSIA PER SPIONAGGIO. NULLA DI NUOVO E CLAMOROSO, SE NON IL SOLITO DUE PESI E DUE MISURE. del 2.4.2023.

Il vero problema non sono l’esistenza o inesistenza di precedenti penali specifici a carico della discussa maestra, per difendere la quale suo padre arriva a insultare, praticamente, la figlia di Matteo Salvini (povera ragazza che in tutto questo entra come i cavoli a merenda).

Il vero problema (che gran parte del cosiddetto centro-destra non ha capito, o finge di non capire facendosi condurre per mano dal main stream nel rituale dello sdegno comandato e opportuno) è che lo stesso atto sia configurabile come eroico o come criminale a seconda della parte politica di vittima e aggressore.

A. Martino

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