SCUSATE, MA IL “SOVRANISMO” DI QUESTO GOVERNO, OLTRE ALLA TUTELA DELL’OLIO DI OLIVA O DELLA BISTECCA ALLA FIORENTINA, IN COSA CONSISTEREBBE? OLTRE A BIDEN E A URSULA, ORA QUI COMANDA ANCHE ZELENSKY?

Satellite degli USA, anche se sono passati oltre ottanta anni dal fatidico otto settembre, che mi fanno stentare a comprenderlo, ha una sua logica.

Vassalla dell’eurocrazia, lo sappiamo bene. Ma che l’ Italia lo sia ormai persino dell’ Ucraina…beh, questo è davvero troppo. Sto esagerando? “Narrazione fuori contesto” dettata da estremistico sovranismo? Non direi. Purtroppo però, una pesante iniziativa di politica estera del governo Meloni e una incredibile esternazione del presidente ucraino Zelesky, entrambe sostanzialmente passate sotto silenzio critico dalla narrazione informativa main stream, lo attestano.

Per celebrare degnamente (ammesso che l’inizio di una guerra sia comunque da celebrare) i due anni del conflitto tra Mosca e Kiev, la Merkel de noantri e l’ex showman di Kiev hanno firmato ivi un trattato bilaterale, che vincola l’Italia a un impegno immediato entro le 24 ore in caso di “nuovo attacco russo” (quindi, apprendiamo con vivo interesse che l’Ucraina avrebbe ormai vinto la guerra e i russi si sarebbero ritirati).

Gli impegni (in pratica solo per l’Italia) spaziano  dalla cooperazione in ambito industriale della difesa a quello economico, dalle infrastrutture critiche ed energetiche al sostegno umanitario, dalla sicurezza informatica alla intelligence, e infine alla tanto agognata ricostruzione. L’Italia ha già garantito i finanziamenti per il tetto della cattedrale della Trasfigurazione di Odessa, danneggiato dai bombardamenti in estate, e si candida a un “ruolo di primo piano” per il post guerra, anche ospitando nel 2025 la “Ukraine recovery conference”. L’intesa si inserisce tra quelle simili che l’Ucraina ha definito nelle ultime settimane con Francia, Germania, Gran Bretagna, Danimarca, e infine con il Canada. È l’attuazione di quanto deciso a margine del vertice Nato di luglio a Vilnius, in Lituania, per dare vita a svariate intese bilaterali che di fatto inseriscono Kiev nell’Alleanza atlantica, senza una ufficialità che ulteriormente danneggerebbe i rapporti con la Russia (ammesso che questi abbiano ancora un margine di deterioramento).

Ebbene, come galvanizzato da questo importante risultato (l’Italia, pur sempre, non è il Belgio o la Grecia o il Lussemburgo), all’indomani, il buon Zelensky ha dichiarato che ci sarebbe un’altra “arma” che gli sarebbe molto utile: ovvero, una lista di proscrizione dei “filoputiniani” d’Italia.

Ha infatti dichiarato: “In Italia ci sono molti pro-Putin, e prima di tutto dovreste cancellare loro i visti e mandarli via”. 

“Stiamo preparando una lista – non solo riguardo all’Italia – sui propagandisti russi. E’ una lunga lista e vogliamo presentarla alla Commissione europea, al Parlamento europeo, ai leader dell’Ue e degli Stati Uniti”. 

Insomma, per chi dovesse dissentire, e parlare e scrivere, fuori dal proverbiale seminato, si va di male in peggio: al controllo dei patrii “organi competenti” di polizia e intelligence, abbiamo capito che si aggiungono, oltre ai servizi segreti stranieri già da ottanta anni accreditati, ora pure quelli ucraini oramai con crisma di ufficialità. “Mandarli via..”: pazzesco: ma cosa suggerisce, il buon Volodomyr? L’esilio? L’espulsione dal territorio patrio per alto tradimento (non dell’Italia, ma suo?). La storia dei visti, poi, non l’ho capita bene: se questi italiani dovrebbero essere “mandati via” (sanzione finora inesistente nel nostro ordinamento), come si fa a negare il visto per il paese di esilio? O intende il visto per gli stranieri residenti in Italia? Mah, forse anzi certamente, una sniffata o bevuta di troppo, confonde le idee anche a un novello Churchill (che d’altronde, almeno a bicchiere, ci dava decisamente sotto).

Non resta che sperare che, quando Zelensky o chi per lui, avranno completato la loro bella lista di proscrizione, o questa guerra sia finita per verdetto sul campo o alla Casa Bianca sia nuovamente inquilino Donald Trump.

A. Martino

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