QUESTI DUE DALLA NORMANDIA HANNO FATTO INTENDERE LA LORO VOLONTA’ DI GUERRA MONDIALE E NUCLEARE. VLADIMIR PUTIN, INVECE, MERITA IL NOBEL PER LA PACE. ED ECCO PERCHE’.

Il presidente USA Joseph Gobinette Biden in evidente declino fisico ma del tutto capace almeno di leggere discorsi, ha compiuto una impegnativa visita di stato in Francia, con tutti i crismi riservati aun importante capo di stato amico: celebrazione dell’ottantesimo anniversario dello sbarco in Normandia, omaggio al Milite Ignoto assieme al presidente francese, discesa in limousine dei Campi elisi con scorta di guardie presidenziali (la guardia repubblicana) sia in moto che a cavallo accompagnato dal presidente ospitante e dalle rispettive consorti.

Una visita che, a detta di tutti gli osservatori, serve a evidenziare una totale sintonia (pur con qualche distinguo probabilmente da gioco delle parti come l’invio di soldati occidentali in Ucraina) tra la sponda dell’ Atlantico che in un tempo lontano sovvenzionò e appoggiò l’indipendenza delle colonie ribelli alla Corona britannica, e l’erede di quei “ribelli” che da allora strada ne ha fatta davvero tantissima. Indubbiamente, un reciproco spot elettorale (per Biden in funzione anti Trump e in extremis per Macron contro la sua bestia nera Marine Le Pen incombendo le elezioni per l’ europarlamento).

In ogni caso, il collante più importante della leadership franco-americana apparentemente solidissima è a livelli ideologici prima ancora che politici, e si dispiega sul campo geopolitico: è l’ ossessiva e sempre più irrinunciabile esigenza di “soluzione finale” con Putin e con la Russia stessa. Nei luoghi ormai sacralizzati dal vincitore come le spiagge di sbarco o il dirupo su cui si arrampicarono i rangers, Biden ha pronunciato un discorso elettorale globale tutto teso all’autocelebrazione dell’imperialismo a stelle e strisce e dell’unilateralismo euroatlantista detto “occidentale”, in cui tra l’altro ha dipinto Putin come novello Hitler, che non si fermerebbe certo all’Ucraina una volta caduto tale bastione dell’Europa.

Davvero un paradosso storico, se si pensa che sul campo al fatidico sei giugno 1944, erano anche le scalcinate “divisioni statiche” ucraine in uniforme tedesca, così chiamate per la loro elementarità tattica consistente nella semplice difesa ad oltranza di un certa porzione di territorio.

A mio personale e modesto avviso, invece, Putin meriterebbe la candidatura al Nobel per la pace. Ma purtroppo, come dice il portavoce del Cremlino Dimitry Peskov, siamo in piena “estasi prebellica” delle opinioni pubbliche occidentali e soprattutto di chi le forma.

No, non sono e non siamo qui a L’Ortis “agenti russi” più o meno prezzolati: mai sinora stati a Mosca e mai ricevuti bonifici che non siano quelli del datore di lavoro (son cose che giova ripetere).

Ma ecco qualche motivo di questa auspicabile candidatura al Nobel per la pace a Vladimir Putin, su cui ogni mente libera e ogni cuore onesto dovrebbe serenamente meditare.

Il 24 febbraio 2022 Vladimir Putin ha avviato la “operazione militare speciale” per l’ormai insostenibile pressione ucraina sui territori etnicamente russi di Donetsk e Lugansk, con uno stillicidio di vittime civili dal 2014.

Specialmente nel primo anno di conflitto, le forze russe hanno (anche con loro pesanti perdite di mezzi e soprattutto umane) evitato di usare appieno il loro potenziale di armamenti, per non provocare stragi di civili di gran lunga superiori alle perdite di una, o tre, o quattro persone a volte riportate dai media main stream come se si trattasse di nuovi bombardamenti come quelli su Dresda o Amburgo.

L’immane e terrificante arsenale atomico russo (ed ex sovietico) è assolutamente intatto e non utilizzato nonostante: a) una guerra per procura sempre più baldanzosa nel suo innalzare asticelle nell’utilizzo di armi in raggi di azione ormai ben oltre i confini russi, sempre meno riportabili a una logica puramente difensiva quale quella originariamente sbandierata; b) una guerra non militare questa sì non per procura di ogni tipo (mediatico, ed economico-finanziario); c) gli insulti continui al capo di una grande nazione non in guerra con la propria e con la quale sussistono ancora formali rapporti diplomatici.

Azioni di polizia giudiziaria e tributaria di difficile inquadrabilità in un quadro di reale legittimità giuridica e costituzionale, con sequestri di beni di cittadini russi particolarmente facoltosi (i cosiddetti oligarchi), e l’appropriarsi di ingenti capitali russi finanziari incautamente tenuti in Occidente.

Tentativi sistematici e potentemente organizzati, di sconvolgimento della vita politica interna russa e pesanti intromissioni in essa mediante finanziamento e coordinamento di movimenti globalisti e anti Sistema. Una rivoluzione “colorata” con i suoi preparativi è sempre, anche se ovviamente poco sbandierata dinanzi alle opinioni pubbliche occidentali, dopo quella militare innanzitutto e quella economico-finanziaria, una delle principali opzioni antirusse.

Alla luce di tutto ciò, non so da chi e non so come, lo ripeto: si prenda l’iniziativa di candidare Vladimir Putin al massimo riconoscimento pacifistico mondiale, per lo scongiurare con il suo senso di responsabilità, pazienza e umanità, una guerra nucleare che comporterebbe la fine della attuale civiltà. Anche se ciò comporta probabilmente, occorre dirlo con pari sincerità, un obiettivo offuscamento della temibilità geopolitica russa: un Orso possente ma in fondo, molto meno feroce di quanto sembri, e sicuramente meno dei suoi cacciatori.

A. Martino

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