PER L’INCREDIBILE CASO DE MARIA, PRENDETEVELA PIU’ CON GLI PSICOLOGI (SACERDOTI DI UN CULTO SPESSO INTEGRALISTA QUANTO FALLACE), NON CON I GIUDICI CHE APPLICANO LEGGI IDEOLOGICAMENTE ASTRATTE

Emanuele De Maria scontava nel carcere di Bollate (Milano) una condanna per “femminicidio” avvenuto nel 2016 in provincia di Caserta: aveva ucciso una sventurata prostituta di origine tunisina.
Dopo certamente non molto tempo per una responsabilità così grave, aveva ottenuto un regime di significativo reinserimento nella vita sociale, lavorando di giorno alla reception (incarico forse troppo socialmente esposto) di un albergo della seconda città italiana. Probabilmente, aveva intessuto una relazione con un’altra sfortunata donna sua collega (anch’ella immigrata, in questo caso cingalese). Costei, pochissimo tempo dopo il suo suicidio, è stata trovata senza vita in un parco milanese. Prima della sua fuga ed evasione verso il volontario compimento del proprio destino e l’incontro di un giudice Supremo e Infallibile, De Maria aveva pure accoltellato un uomo anch’egli collega di lavoro presso l’Hotel Berna involontariamente balzato agli onori (si fa per dire) della cronaca milanese e nazionale.
L’ assurda vicenda (una vera e propria pulp fiction) si è chiusa nel modo più tragicamente spettacolare per uno scenario milanese: ovvero, con lo sfracellarsi al suolo di De Maria lanciatosi nel vuoto da una terrazza del Duomo nella mattina di domenica 11 maggio più o meno mentre Leone XIV officiava a Roma la sua prima benedizione di mezzogiorno; come se la realtà più cupa e disperata volesse prendersi la scena rubandola al Bene.
In una gamma espressiva e concettuale fino all’ ingiurioso per la magistratura, tanti se la sono presa con una decisione premiale che sarebbe stata foriera di sciocco perdonismo e disastrose conseguenze. Eppure, credo che prendersela con i magistrati non abbia senso. Essi applicano, almeno in casi del genere, leggi probabilmente sbagliate nella filosofia di fondo.
Il vero problema sta piuttosto e appunto. nelle normative dell’ultimo mezzo secolo che hanno indebolito la certezza effettiva della pena per inseguire la rieducazione dogmaticamente possibile per chiunque. E’ un po’ come per l’evoluzione della narrativa di modello gotico e del cinema horror: non esisterebbe il Male, non ci sarebbero malvagi irrecuperabili e da tenere quanto meno sotto controllo il più possibile, ma c’è solo il “disagio” che le “istituzioni” sarebbero capaci, con ottimismo tipicamente e decrepitamente illuminista, di canalizzare e neutralizzare.
La consulenza psicologica è quindi il vero problema, dato che in ultima istanza è essa che condiziona e orienta in larga parte il giudice di sorveglianza. L’uomo contemporaneo ha creato una scienza certo non inutile e non campata in aria, ma altrettanto certamente, troppo presuntuosa nella sua materialista e positivista presunzione di scavare l’insondabile e misterioso animo umano e nel porsi come direttore e consulente spirituale. Quando succede qualche tragedia, infatti, non chiamano più un prete ma uno psicologo.
Eppure, il soggetto della consulenza e dell’analisi, ha notevolissime possibilità di inganno direttamente proporzionali alla sua furbizia e intelligenza. Ma dai, quanto volete che sia necessario per essere “detenuto modello”? Basta starsene zitto e calmo per qualche anno, diciamolo senza correttezza politica.
Ma insomma, e con la massima franchezza: avete visto che sguardo aveva De Maria, possibile che esso per tanti “professori” non significasse nulla se non una “personale espressività”? E il suo caso non è affatto unico: tutti sembrano averlo dimenticato ma Angelo Izzo (il più inquietante e irredimibile dei “mostri del Circeo”) godeva di semilibertà pur essendo anni addietro evaso o aver preso in ostaggio una guardia, e lavorava in un consultorio familiare di Campobasso quando ivi conobbe nel 2004 la moglie e la figlia di un boss pentito; attiratele in una villetta, le massacrò richiamando incredibilmente il modus operandi di esattamente trenta anni prima in quel duplice delitto di straordinaria efferatezza che sconvolse l’ Italia.
A. Martino
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