LA CROAZIA NON PERMETTE CHE SI RICORDI L’IMPRESA PATRIOTTICA DI GABRIELE D’ANNUNZIO. SPERIAMO CHE NON ESIGA LA DISTRUZIONE DELLA SUA CASA A PESCARA.

Ora come cento anni fa, i destini e l’onore italiani sono affidati a una classe politica che guarda ad altro, prende ordini dagli stranieri, si umilia dinanzi alla “comunità internazionale”, ha da svolgere “compiti a casa” redatti dalla finanza mondialista o dal Bilderberg.

Il dodici settembre (centenario dell’arrivo dei legionari dannunziani nella città irredenta di Fiume) si è inaugurata una statua di Gabriele D’Annunzio (per la verità piccola e bruttina, a mio modesto avviso) in Trieste. Nulla di strano e particolarmente entusiasmante, davvero.

La tracotanza nazionalista (altrui) molto somigliante alla proverbiale “coda di paglia” arriva quando  il Presidente croato, signora Kolinda Grabar-Kitar, da Zagabria, twitta (non lo fa solo Trump): «Fiume era e rimane una parte fiera della Patria croata e il monumento scoperto oggi a Trieste che glorifica l’irredentismo e l’occupazione, è inaccettabile». Come se, tra l’altro, non conoscesse abbastanza la storia dell’Istria e della Dalmazia, territori cantati anche dal sommo poeta, Dante Alighieri, nella sua Divina Commedia: <<Si com’a Pola presso del Carnaro, ch’Italia chiude e i suoi termini bagna >>. Ma non finisce qui.

Il governo recapita persino una nota verbale all’ambasciatore italiano: «L’inaugurazione, come il ricordo dell’anniversario dell’occupazione di Rijeka in alcune altre città italiane non solo mina le relazioni amichevoli e di buon vicinato tra i due Paesi, ma è anche il riconoscimento di un’ideologia e di azioni che sono in profondo contrasto con i valori europei».

Un ragazzo viene arrestato per aver osato esporre nel pieno centro di Fiume la nostra bandiera anche se con lo scudo sabaudo, e degli aviatori amatoriali provenienti da Pescara pur se preventivamente  autorizzati dal governo croato, che avrebbero voluto unire in un volo di pace e festoso la città natale del Vate alla sua diletta Fiume sull’altra sponda del Mare Adriatico nell’ambito delle da noi già riportate manifestazioni della “Festa della rivoluzione”, vengono addirittura minacciosamente trattenuti dalla polizia croata, rilasciati dopo diverse ore, cacciati dal suolo croato come pericolosi e sgraditi stranieri, e si impedisce ad altri aviatori italiani con i loro piccoli velivoli (termine inventato da D’Annunzio) di raggiungerli pena (udite udite) un possibile abbattimento da parte dei caccia croati.  

La maggioranza italiana fu drammaticamente espulsa senza alcuna tutela internazionale dalla propria città pena ritorsioni che potevano essere anche la eliminazione fisica come per i nostri compatrioti più a nord; non esiste un censimento attendibile sulla sua attuale consistenza, e l’adesione della Croazia all’Unione Europea ha comportato, in pratica e paradossalmente, il totale distacco dell’Italia da qualunque interessamento e patrocinio delle sorti di questi nostri connazionali.

Noi de L’Ortis pensiamo che il quadro a questo punto, pur nella sua sinteticità, sia chiarissimo e spietatamente confirmatorio: e cominciamo con l’enunciare i termini della questione.

  1. Fiume era e resta una città storicamente e culturalmente italiana in quanto appartenente alla “Serenissima ” Repubblica di Venezia che solo per le disgrazie della Storia (Napoleone e l’ignavia traditrice di un’altra classe dirigente) si trovò barattata con gli Asburgo che la annetterono al loro Regno di Ungheria assieme al resto della Dalmazia, pur circondata dalla etnia croata, che nel Medio Evo fu regno indipendente. L’attuale Croazia altro non è che la riesumazione dello stato di Croazia creato da Mussolini nel 1941 dandone corona a un principe Savoia-Aosta (ergo italiano) che peraltro mai mise piede nel suo Regno. Sarebbe quindi storicamente esatto definire Fiume, pur unita alla sua Italia finalmente e grazie in fondo all’impresa dannunziana solo dal 1924 fino alla riconquista titina, come città ex yugoslava già austroungarica;
  2. Il dissolvimento della Yugoslavia (costruzione terribilmente artificiosa dei vincitori della prima guerra mondiale) avrebbe potuto essere occasione almeno per recuperare la “zona B” attorno a Trieste, inserendo la rivendicazione nel contesto più ampio di un qualche indennizzo alle persecuzioni antiitaliane, ma ovviamente non se ne fece nulla : d’altronde, non ha senso portare una bellissima donna nuda nel letto di un eunuco, si sa bene che non accadrà niente;
  3. Altrettanto ovviamente, quando Slovenia e Croazia bussarono alle porte della Dea Europa, nessuno a Roma, timida ancella di tale divinità, nemmeno sognò di esercitare il diritto di veto;
  4. Quando da parte di qualcuno si vuole fare la lezione, infierire su ferite del passato, ottenere sottomissioni e umiliazioni dagli italiani ma anche contingenti concessioni quali porti aperti o acque territoriali, ci si appella ai “valori europei” con il risultato, per quanto ci riguarda, di renderceli ancora più estranei .

A questo punto, penso che sia difficile trovare uno stato più remissivo, e innocuo, e pronto a scansarsi di quello italiano; questa ultima vicenda vede coinvolti un Capo dello Stato, un Ministro degli Esteri, un Governo nella sua collegialità, che non hanno proferito parola, e in fondo è meglio così dato che argomentazioni quali “anacronistici contrasti da risolvere nell’ottica della comune appartenenza europea” ci avrebbero vieppiù amareggiati. O forse, presi da foga “euroinomane“, avrebbero offerto a riparazione non solo la demolizione del monumentino triestino, ma anche, che so, la demolizione della casa-museo di Gabriele D’Annunzio a Pescara o la chiusura del Vittoriale di Gardone Riviera.

A volte viene da pensare che certe persone esponenti di non so quale “elite” si ritrovino come per caso ad incarichi di vertice in Italia o in  Francia o in Austria ecc. , ma che in fondo potrebbero esserlo anche in un altro Paese. Sono nell’animo e nella loro cultura degli apolidi, agenti di globalizzazione e uniformazione: e infatti, col “franco-italiano” Gozi, lo abbiamo visto.

Questa vicenda ci conferma che la nostra visione sovranistica è di assoluta legittimità e concretezza, e che urge riunire e coordinare forze, anche di diversa radice storico-ideologica, in vista della riconquista politica della INDIPENDENZA ITALIANA.

A.Martino

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