POVERO D’ANNUNZIO TIRATO PER LA GIACCHETTA DALLA POLITICA “POSTMODERNA”

Cosa dire del film “il Cattivo Poeta”?

Io da vero estimatore del Comandante mi sono precipitato a vederlo per voi, cari lettori, durante la prima giornata di proiezione, in uno dei tanti cinema della mia amata Pescara.

A parte la magistrale interpretazione, nella parte del Vate, di Sergio Castellitto, della quale, tra l’altro,  eravamo super sicuri, il film, pur essendo sinceramente bello, paga lo scotto di un’eccessiva adesione alle correnti storiche attuali.

Nello specifico ci si è affidati totalmente alle tesi del Prof. Giordano Bruno Guerri il quale, se è vero che si è fatto carico di sdoganare la figura di Gabriele d’Annunzio – allontanandolo, tra l’altro, sideralmente dal Fascismo e quindi rendendolo anche potabile per una certa destra italiana che ha bisogno non solo di modernità, ma anche e soprattutto di ideologi e uomini di cultura, da poter esibire nel proprio Panteon – dall’altro è responsabile, a mio modesto parere, di aver dilatato quasi all’infinito eventi per lo più insignificanti e quindi di aver anche distorto la realtà storica.

D’altronde come non si può convenire con questa mia tesi osservando la veemenza antitedesca del Poeta così ferocemente rappresentata nella pellicola di Gianluca Jodice, e riconducibile, secondo quest’ultimo fin dai tempi della Guerra di Spagna, cosa, tra l’altro, assolutamente non veritiera.

Infatti se è vero che il Vate è sempre stato contrario ad Hitler – soprattutto perché, quest’ultimo, tedesco e questo è acclarato non solo dagli innumerevoli scritti e fatti storici, ma anche, se così non fosse, per la propria vicinanza alla cultura francese ed avversione a quella alemanna – è anche vero che solo un anno prima della nascita dell’asse, cioè nell’ottobre del 1935, il vecchio Comandante aveva scritto al Duce dandosi disponibile a ritornare quale aviatore per la Guerra d’Etiopia e non solo, con l’arrivo delle sanzioni da parte della Società delle Nazioni il Vate ebbe a dichiarare: << I miei legionari partano tutti per l’ Africa. Io sul principio soleva placare l’eccesso dell’ardore, persuadendoli come quella non fosse guerra nazionale ma coloniale. Oggi, la grigia imbecillità inglese e l’immonda cupidigia e l’ingiustizia testarda mi eccitano a dichiararla nazionale, anzi latina, anzi romana! >> e quando ci fu da donare l’oro alla Patria d’Annunzio donò non un anello o un monile ma un’intera “cassa d’oro”.

Dopo che l’Italia divenne impero (maggio 1936) e nel pieno della Guerra Civile Spagnola (17 luglio 1936 – 1 marzo 1939), che ricordiamolo, fu combattuta non solo a fianco del Generale Franco ma anche e soprattutto dei nuovi alleati tedeschi, nel settembre del 1936 il Comandante tornò a scrivere al Duce in questi termini: << Mio caro compagno, (…) ti ho ammirato e ti ammiro in ogni tuo atto e in ogni tua parola. Ti sei mostrato e ti mostri sempre pari al destino che tu medesimo rendi invitto e immoto (…). O compagno, non ti insudiciare nel rivolgerti alla gravedente Cloaca di Ginevra . (…) Ti abbraccio. E ti domando di morire per la tua Causa che è la mia ed è quella del Genio latino indomito >>

Ora ditemi se questo è il comportamento di un “antifascista” o di una personalità che sia stata seriamente contro il Regime, suvvia! Siamo seri!

D’Annunzio che certamente non era fascista non fu mai “anti”, né servo di Regime, semmai “A” Fascista, perché era più del Regime stesso.

Egli era il padre della “Rivoluzione” ed in quanto tale non poteva essere uomo di partito perché la sua fede era l’Italia e l’italianità, non una causa di parte.

Riguardo poi la sua avventura di Fiume e la Carta del Carnaro che, oggi, in molti interpretano come un’esperienza libertaria e presessantottina, si tenga presente che anche il fascismo della primissima ora aveva venature fortemente libertarie, antidogmatiche, anticlericali e repubblicane senza tener conto del fatto che tutto questo bagaglio fu ripescato, chiaramente in chiave più truce, durante la Repubblica Sociale dove, apertamente, nella stesura della Carta di Verona si collegarono idealmente alla Costituzione della Reggenza di Fiume.

Se teniamo anche conto del fatto che d’Annunzio era un elitario e convintamente monarchico, mentre il movimento fascista, per sua natura totalitaria, si rifaceva alle masse, ecco che la questione del rapporto tra il Vate e il Regime si fa molto più complicata da spiegare.

Il Comandante, per tutti gli anni 20 del secolo scorso, sicuramente aveva un peso maggiore di Mussolini e quando l’allievo superò il maestro – perché quest’ultimo, anziché l’assoluto scelse il relativo, come la politica vuole – nel Vate scattò prima l’invidia e quindi la voglia di dimostrare nuovamente la sua supremazia, come nel caso, a partire dal 1937, del voler completare l’irredentismo con una nuova “impresa fiumana” questa volta, però, sulla Dalmazia e poi, appena resosi conto dell’impossibilità della realizzazione della stessa, la depressione.

Mussolini era un cinico pragmatico e certamente non amava le polemiche da qualsiasi parte esse arrivassero, figurarsi quindi da un monumento vivente come d’Annunzio, ma detto questo non umiliò mai il Comandante e men che meno a Verona, nel 1937, in occasione del suo ritorno da Berlino, come, tra l’altro, nel film viene proposto, le foto d’epoca, d’altronde, lo testimoniano.

Mussolini ed il Vate a Verona nel 1937

Anzi, d’Annunzio era talmente potente e rispettato dal Duce tanto da consentire al Poeta di dire apertamente a Mussolini in quel di Verona: << Sei andato a Berlino a scavarti la fossa con le tue mani! >>.

Certo, conoscendo noi il finale dei fatti, questa frase fa impressione per la propria preveggenza ma, dobbiamo anche ricordare che, d’Annunzio non era un mago né un veggente, le leggi razziali in Italia ancora erano state promulgate, e la Germania di Hitler, a parte l’impegno nella Guerra Civile Spagnola, non era impegnata ancora in nessun altro conflitto, né era stata fatta la conferenza di Monaco, dunque come si poteva essere certi di ciò che sarebbe accaduto con questa Alleanza?

Altra incongruenza storica del film è la dichiarazione del Federale Giovanni Comini ai propri sottoposti quando egli afferma: << A Roma sono tesi perché ci si prepara alla Guerra e non vogliono che nulla possa rovinare l’alleanza con la Germania >>, infatti, durante, la stipula dell’Asse prima e del Patto d’Acciaio poi, l’Italia ha sempre dichiarato e saputo, che le ostilità non sarebbero iniziate prima del 1943, tant’è che, per il 1942, era prevista la Grande Esposizione Universale a Roma, da qui la costruzione dell’Eur, figuratevi dunque, nel 1936, chi avrebbe potuto prevedere cosa.

Ricapitolando dunque, d’Annunzio certamente sollevò, da par suo, delle critiche alla politica estera del Duce, ma queste non furono mai un atto ostile come il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” redatto da Benedetto Croce, semmai furono simili e comparabili ai dubbi di Italo Balbo, di Dino Grandi, di Giuseppe Bottai, di Emilio De Bono e di Galeazzo Ciano.

Perciò, a mio modesto parere, è ingiusto separare il Comandante dal Fascismo.

Se un’operazione di revisionismo storico va effettuata essa deve essere senz’altro indirizzata a rivalutare non tanto i singoli individui quanto quegli aspetti positivi di un periodo storico che, per quanto criticabile, ci ha lasciato, come è naturale che sia, anche delle cose buone.

Diversamente i talebani si troverebbero anche in Italia e non solo in Afghanistan.

Lorenzo Valloreja

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