IL VERO ANNIVERSARIO DELLA REPUBBICA DOVREBBE RICORRERE IL 13, NON IL 2 GIUGNO. MA E’ UNA DATA CHE PUZZA DI GOLPE, E CHE RICHIAMA LA STRAGE ANTIMONARCHICA DI NAPOLI.

La Repubblica festeggia il due di giugno, convenzionalmente ritenuto il suo giorno fondativo.

Sarebbe però più corretto celebrarlo il tredici giugno. Purtroppo, la Storia è (o sarebbe) una scienza che nella sua esattezza si avvicina alla matematica, più che il Diritto con le sue famose “interpretazioni” e lasciar correre da parte di chi dovrebbe tutelarne lettera e spirito originario. Ma non divaghiamo, e andiamo a quel due giugno 1946.

Si tenne allora il referendum istituzionale in cui gli italiani furono chiamati, direi piuttosto che a “scegliere tra monarchia e repubblica” come si usa dire, a confermare Casa Savoia al Quirinale, o a dichiararla decaduta preferendo la repubblica. Piccolo distinguo di non poco conto: Umberto di Savoia non è un avventuriero di sangue blu bramante il trono e sbucato da non so dove, ma era il Re d’Italia dai primi giorni di maggio, quando Vittorio Emanuele III abdicò e la Luogotenenza generale di Umberto principe di Piemonte si trasformò in vera e propria dignità regale, sperando che l’elettorato lo considerasse meno compromesso con fasti e nefasti del fascismo.

Già questo diede luogo a strane polemiche nell’ estesissimo fronte repubblicano: il vecchio re “non poteva farlo”. Incomprensibile: del suo titolo poteva disporre come e quando volesse. Evidentemente, temevano l’ effetto positivo per la Corona.

Comunque sia, le operazioni di voto si svolsero il due e il tre giugno 1946. Gli alleati vincitori non ebbero il buon cuore (figurati…) di far votare le centinaia di migliaia di prigionieri di guerra, e non votarono nemmeno i cittadini italiani della provincia di Bolzano e della Venezia Giulia sotto giurisdizione alleata, per non parlare di qualche povero giuliano-dalmata non riuscito a fuggire dalla barbarie titina.

Scrutini lenti, all’ inizio grandi speranza per la monarchia, ma poi una “provvidenziale” valanga di voti repubblicani dal Nord fa intravedere con sufficiente approssimazione il ritorno della repubblica sui Sette Colli dopo il 1849. Roba genuina? Voti “aggiustati” dal ministro dell’Interno socialista, nemico giurato di Casa savoia? La verità non si saprà mai.

Comunque sia, la parola definitiva e inoppugnabile sull’ esito degli scrutini elettorali sarebbe stata pronunciata il 18 giugno dalla Corte di Cassazione a sezioni riunite. Nell’ attesa, Umberto II non si schioda dal suo pur ipotecatissimo trono, e il governo presieduto da Alcide De Gasperi (che poi, è in pratica il CLN) mastica amaro: hanno fretta di archiviare la pratica Savoia, che ancora si frappone alla loro occupazione partitocratica della società e dell’economia italiane.

La situazione precipitò quando l’11 giugno a Napoli, in Via Medina, nove militanti monarchici vengono uccisi dalla polizia che difende una sede del PCI: grave il fatto per il suo costo umano (uccisa tra gli altri una studentessa pittorescamente avvolta nel tricolore con stemma sabaudo), ma segno inequivocabile che gli uomini in uniforme o almeno i loro comandi, ormai hanno abbandonato Casa Savoia. I quali vertici militari al pari non secondariamente di quelli degli alleati occupanti, come in seguito dichiarerà Pietro Nenni, erano stati sondati da quello che mi ostino a chiamare ancora il CLN presieduto da Alcide De Gasperi.

Ecco quindi che, rompendo gli indugi, arriva il vero e proprio scacco al re, la mossa risolutrice: la notte tra il 12 e il 13 giugno il Consiglio dei ministri sfida Umberto II, proclama la Repubblica italiana e nomina “capo provvisorio dello stato” il presidente del Consiglio dei ministri Alcide De Gasperi, cui il 28 giugno 1946 subentrerà  in tale ruolo Enrico de Nicola. Costui a norma della prima disposizione transitoria e finale della Costituzione della Repubblica Italiana, esercitò le attribuzioni e assunse il titolo di Presidente della Repubblica Italiana, dal primo gennaio 1948 fino al successivo 12 maggio.

Lo stato italiano ebbe quindi due capi provvisori, non uno come solitamente dicono e scrivono. Perché se il secondo era il classico notabile e leguleio meridionale liberale di alto profilo, tra l’altro di dichiarata fede monarchica quindi dignitosissima figura di transizione tra due mondi, il primo puzza di golpe. Alcide De Gasperi, da classico modernista cattolico (non cattocomunista, per carità) era ferocemente antifascista e antimonarchico anche se non lo dava a vedere. Nel 1918 tradì il suo imperatore (d’ Austria, dato che era trentino) con una tardiva presa di posizione apertamente irredentista nell’ ormai inutile parlamento di Vienna, nel 1946 liquida il re d’ Italia, nel 1948 riesce quasi a farsi scomunicare da Pio XII (ultimo papa-papa, diciamo così), per il rifiuto di allearsi con monarchici e missini alle elezioni comunali di Roma. E lasciamo perdere che è l’unico capo di governo della storia d’ Italia ad aver fatto mandare in galera per presunta diffamazione un giornalista (e che giornalista, Guareschi)!

A quel punto, per una persona del profilo morale di Umberto II la scelta è quasi obbligata: il pomeriggio del 13 giugno si imbarca all’aeroporto di Ciampino, destinazione Portogallo (terra di esilio dell’avo Carlo Alberto, e curiosamente nel giorno dell’ immenso santo di origine portoghese S. Antonio da Padova). Cira un’ora prima, nel grande cortile maggiore del Quirinale, un plotone di corazzieri gli aveva reso per l’ ultima volta gli onori militari e per l’ ultima volta si gridò “Viva il re”.

A nord la mattanza dei vincitori della guerra civile non era finita ancora, una scelta diversa avrebbe comportato tanti ennesimi lutti e il ravvivarsi di un odio pur sempre in spegnimento. Ancora adesso, tutti gli italiani gli dovrebbero una grande gratitudine.

Ma diramò un proclama, uno scatto di orgoglio che bruciò a De Gasperi e compagni, e fino alla fine peserà sull’ esilio irrevocabile di Umberto II una accusa di scarsa remissività alle decisioni della partitocrazia della Prima repubblica. Insomma, un re primo dei “disobbedienti”…..Ecco uno stralcio dell’ ultimo atto di Umberto II in terra d’ Italia.

“… Improvvisamente, questa notte, in spregio alle leggi ed al potere indipendente e sovrano della magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale ed arbitrario, poteri che non gli spettano, e mi ha posto nell’alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza.

Mentre il Paese da poco uscito da una tragica guerra vede le sue frontiere minacciate e la sua stessa unità in pericolo, io credo mio dovere fare quanto sta ancora in me perché altro dolore ed altre lacrime siano risparmiate al popolo che già tanto ha sofferto. Confido che la magistratura potrà dire la sua libera parola; ma, non volendo opporre la forza al sopruso, né rendermi complice della illegalità che il governo ha commesso, io lascio il suolo del mio Paese, nella speranza di scongiurare agli italiani nuovi lutti e nuovi dolori.

Compiendo questo sacrificio nel supremo interesse della Patria, sento il dovere, come italiano e come re, di elevare la mia protesta contro la violenza che si è compiuta; protesta nel nome della corona e di tutto il popolo, che aveva il diritto di vedere il suo destino deciso nel rispetto della legge e in modo che venisse dissipato ogni sospetto….”.      

A. Martino

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