A VIKTOR ORBAN PER RESISTERE ALL’ “IMPERO DEL MALE” OCCORREREBBE L’AIUTO DI UN EREDE DI SANTO STEFANO. COMUNQUE, FORZA UNGHEXIT!

La dott.ssa Judit Varga, ministro ungherese della Giustizia, ha così riepilogato la sostanza dell’ultimo scontro del suo Paese con l’eurocrazia (paternale di Mario Draghi in persona compresa):
L’Ungheria” – ha scritto – “ha subito un attacco senza precedenti, solo perché la protezione dei bambini e delle famiglie è la nostra priorità e, a questo proposito, non vogliamo che la lobby Lgbtq entri nelle nostre scuole e asili“.

Tutto chiaro, e cosa in fondo normale per una realtà come l’Unione europea che il sottoscritto è arrivato a definire personalmente “l’impero del Male”. E’ per essa bruciante che la propaganda LGBT sia equiparata alla pedofilia: questi untuosi rimodulatori dell’antropologia con benedizione dei vescovi cattolici italiani vogliono passare per paladini di “diritti”, “inclusione” e via dicendo. Ma la Verità, come nella fortunata canzone degli anni Sessanta, fa male.

Ecco perché la stizzita reazione personale in Consiglio europeo contro Orban del felicemente (omo)sposato primo ministro lussemburghese Xavier Bettel qui nella foto principale (umanamente comprensibile, per carità); ed ecco anche perché la irritante paternale a quattr’ occhi di Mario Draghi, che fa affannoso tirocinio da statista col manuale di istruzioni del Pensiero Unico. Viktor Orban si è dimostrato consumato e paziente statista lui sì, laddove qualcun altro sarebbe stato tentato di allungare all’ interlocutore non dico un ceffone, ma almeno un vaffa.

Non vi dovrebbe quindi essere nessuna meraviglia, circa le minacce di Viktor Orban riguardo a una possibile uscita dell’Ungheria dalla Unione europea attorno al 2030, quando essa dovrebbe diventare “contribuente netto” dell’eurocrazia: cioè, iniziare a pagarle più di quanto ne riceva (condizione per noi italiani ormai pluridecennale).

D’accordo, sarebbe una bomba più psicologica che politica (l’Ungheria ormai per quelli è un peso morto e la provocazione fatta sistema) ma di sicuro un bello smacco perché se è vero che il 2030 è lontano, qualora a Budapest si facesse sul serio, qualcun altro potrebbe esserne tentato con il confidenziale e discreto incoraggiamento di Pechino, che sta iniziando a penetrare nell’ economia ungherese da ospite per nulla indesiderato dal governo.

Pechino però è pur sempre lontana, e Bruxelles e le cancellerie degli stati e staterelli suoi vassalli pericolosamente vicine. Ad aprile del prossimo anno si voterà, e Orban potrebbe pure perdere le elezioni: l’ Ungheria sovranista finirebbe negli archivi di storia contemporanea come, al momento e all’ apparenza, il trumpismo negli USA. Oltretutto, è stato bandito un referendum sulla problematica LGBT: un’altra mina vagante dall’ esito per nulla scontato in un paese democratico ove, checché ne dicano, l’opposizione controlla la municipalità di Budapest; e ove esiste una fiorentissima industria del porno per cui l’ argine all’ omosessualizzazione è una fattiva e innegabile diminuzione di fatturato.

Il governo sovranista e identitario-valoriale di Viktor Orban è, con rincrescimento e preoccupazione per noi sovranisti più attenti e smaliziati, più debole di quanto si pensi. Soros e le ONG mondialiste, la baronessa o principessa Ursula, Papa Francesco, praticamente tutto l’ establishment euroatlantista: tutti insieme appassionatamente per farlo cadere. E’ chiaro che da qui ad aprile muovano il movibile per fargli perdere le elezioni. Speriamo che ce la faccia, ovviamente. E che a quel punto, compia il colpo di reni, il salto qualitativo.

Analogamente a quanto da noi elaborato riflettendo sul fallimento della repubblica per la nostra patria, credo che Orban dovrebbe dare una più adeguata forma istituzionale all’ Ungheria ripristinando la Reggenza che la resse fino al 1945.Un re, anche con poteri solo rappresentativi e persino semplicemente e un po’ kafkianamente evocato come sotto il reggente Horthy, sarebbe un punto di riferimento nazionale più autorevole e pregnante di un Presidente di minima visibilità e prestigio quale adesso è il capo di stato ungherese.

In attesa che il popolo si pronunci sul ritorno di un re con la gloriosa Corona di Santo Stefano, non importa se discendente del beato Carlo d’ Asburgo (detronizzato nel 1918 ma non abdicatario) o appartenente ad altro casato magiaro. Anche lì la repubblica ha fallito, identificandosi con la dittatura comunista prima, e la tuttora incombente minaccia mondialista e pensierounicista tuttora.

A. Martino

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