VE LA DO IO HALLOWEEN, MA ITALIANA E D’AUTORE. “PAURA NELLA CITTA’ DEI MORTI VIVENTI” DI LUCIO FULCI.

Questa volta voglio sforzarmi di essere accondiscendente verso la, anche da noi de L’Ortis, molto discussa moda di Halloween. E va bene, facciamo finta di accettare che la notte di tregenda precedente il Giorno di tutti Santi rappresenti proprio il trionfo del Bene sul Male.

Però, voglio farlo da italiano conoscitore ed estimatore del genere horror, propinandovi come una specie di racconto di paura per l’occasione, la trama e una recensione de “ Paura nella città dei morti viventi” (1980), perfetto film halloweenesco e secondo horror dopo Zombi 2 (1979) del nostro grande e già da me doverosamente omaggiato Lucio Fulci. Non avendo visto il film in sala (quando uscì era vietato alla mia età) ed essendo ben difficile intercettarlo in una televisione tutta commedie e commediole, in attesa di vedermelo in DVD, devo onestamente far riferimento al volume edito dall’argentiana casa editrice Profondo rosso “Lucio Fulci il poeta della crudeltà” di Antonio Bruschini e Antonio Tentori.

Il film appare tributario di ispirazione a tre grandi maestri letterari, non cinematografici, del terrore più o meno fantastico: Poe col seppellimento prematuro, Lovecraft con la provincia statunitense del New England (ma universale, io direi) dai quiescenti orrori conosciuti ma innominati, e King con le diabolicità delle Notti di Salem.  A sua volta però, ha ispirato horror USA come Poltergeist II.

L’ inizio è davvero disturbante, per l’uso provocatorio e da spirituale pugno nello stomaco: un prete con tanto di abito talare si suicida tra orride nebbie impiccandosi a Dunwich (New England), e la sua morte viene vissuta da una medium di New York in modo devastante tale da portarla al coma e poi alla morte con tanto di seppellimento da viva in una bara da cui solo delle picconate fino a pochi centimetri da un occhio la salveranno. Il grido di liberazione e di terrore di costei è miliare per il cinema horror. Il suo salvatore è un giornalista cui Mary confiderà i dettagli della visione e i suoi presagi su qualcosa di tremendo che accadrà a Dunwich la notte di Ognissanti, propiziato dal folle gesto dell’indegno sacerdote. I due accorrono lì e, aiutati da un medico locale, si imbattono in un’orda di morti viventi che sembrano capitanati dal prete suicida che, scoprono, era adepto del Maligno. Il prete-demone verrà annientato dal giornalista con una pesante croce, ma non sembra che sia ancora la vittoria finale del Bene sul Male…..

Un tratto comune con Dario Argento sta nel felicissimo connubio musica-immagini anche se Fabio Frizzi non ha, immeritatamente, la stessa valenza pop dei Goblin. Ma è tutto qui, anche Paura nella città dimostra la netta divaricazione tra l’horror argentiano che, anche nella svolta metafisica, non rinuncia mai all’ elemento investigativo e almeno all’ ipotesi razionalista; e l’immaginario scientemente delirante e irrazionale di Fulci dove “tutto, ma proprio tutto, può accadere” come dicono Bruschini e Tentori. Una morta apparente da salvare rischiando di sfondargli la testa, un bambino che corre festoso e che si frantuma di colpo, o due ragazzi amoreggianti molto ma molto importunati dal fantasma del prete suicida che ipnotizza la ragazza facendole uscire dalla bocca e dagli occhi sangue e intestini…Lo splatter irrompe sugli schermi italiani confermando e rendendo più metafisico quello di Zombi 2 ad opera del maestro siculo-romano, che assieme allo statunitense Romero si confermò punto di riferimento mondiale dell’ horror e di quel sottogenere in assoluto. Se in Zombi 2 scienziati e virologi balbettano qualcosa, qui il Male dilaga perché così ha deciso, punto e basta.

E non vi è in Fulci nessun lieto fine, o meglio vi sono battaglie vinte contro il male ma si lascia sempre intravedere una successiva e più grande dall’ esito per nulla scontato. La Redenzione, nell’ allucinante mondo fulciano, se c’è, di sicuro non la si vede. Ma attenzione: Lucio Fulci, prima della svolta prima thriller e poi horror, fu anche, e persino, regista di Franco e Ciccio.

A. Martino    

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