DUECENTO ANNI FA NASCEVA A SAN PIETROBURGO UNO DEI PIU’ GRANDI DESCRITTORI DELLE BASSEZZE E GRANDEZZE UMANE

Esattamente duecento anni fa, l’undici novembre 1821 sotto il regno di Alessandro I nasceva a Mosca Fedor Michailovic Dostoevskij, che a San Pietroburgo moriva, circa un mese prima dell’assassinio a opera dei  populisti-nichilisti di Alessandro II (l’abolitore della servitù della gleba).

Non so se la parabola terrena del sommo romanziere si concluse a poca distanza dal Palazzo d’ Inverno nei pressi del quale lo sventurato zar fu dilaniato dall’ esplosivo assieme a cavalli e altre persone: in tal caso, se fosse vissuto poche altre settimane un rombo gli avrebbe sicuramente confermato la validità della profezia de I Demoni sul veleno della società moderna, anche di quella più apparentemente refrattaria alla occidentalizzazione liberale come quella russa. Veleno presente in modo diverso sia nei ranghi del Potere che tra le ombre della Rivolta.

E lui, non ne sapeva qualcosa con la maldestra adesione a una società segreta non molto sovversiva che comunque gli valse l’agghiacciante esperienza della “grazia sovrana” (chiaramente già pianificata) ma solo dinanzi al plotone di esecuzione ?

Delitto e castigo (1866), L’ Idiota (1869), I demoni (1872) e I fratelli Karamazov (1880). Sono solo qualcuno dei suoi capolavori, tra i più universalmente noti e suggestivi, saccheggiati da cinema e televisione che ne hanno tentato riduzioni davvero minimali. Con Dostoevskij e il romanzo russo  dell’Ottocento in generale, la capacità di scandagliare l’animo umano arriva a livelli straordinari, quasi paradossalmente disturbanti e assolutamente pari se non superiori alla letteratura francese di uno Stendhal, di un Balzac, di un Flaubert, di un Hugo.

Se il conte Tostoj scivolò progressivamente verso il modernismo e il pacifismo, già abbastanza visibili nell’ immenso Guerra e Pace, Dostoevski non si fece contagiare dall’ occidentalismo, pur non essendo certo diventato un fanatico zarista. Lo fu per fatti concludenti, non per proclami che suonassero come abiure inutilmente umilianti. Gli interessò soprattutto l’Uomo e l’Altro: cioè Dio e in particolare Cristo.

E la sua mentalità intimamente “imperiale” la si desume anche dalla incomprensione della nostra unità nazionale, sembrandogli assurdo che Roma, da capitale di un potere universale si abbassasse a capitale di uno stato di secondo ordine.

Mi è capitato di leggere un curioso accostamento del tenente Colombo all’investigatore di Delitto e Castigo. Sia nel romanzo che nella famosa serie TV americana, il colpevole dell’uccisione dell’usuraia è già noto: straordinaria la modernità del grande russo che assieme al Poe del Delitti della Rue Morgue, parrebbe, credo involontariamente, tra gli antesignani del genere poliziesco letterario.

Moderno, affascinante, e cibo per animi sanamente inquieti e non omologati, il grande moscovita.

Meditiamo questa frase tratta da Memorie dal sottosuolo: „Ogni uomo ha dei ricordi che racconterebbe solo agli amici. Ha anche cose nella mente che non rivelerebbe neanche agli amici, ma solo a sé stesso, e in segreto. Ma ci sono altre cose che un uomo ha paura di rivelare persino a se stesso, e ogni uomo perbene ha un certo numero di cose del genere accantonate nella mente.

A. Martino

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