INDOMITA E RIBELLE CORSICA MAI DEL TUTTO SOTTOMESSA A PARIGI

La Corsica è un po’ una mina vagante nei destini della Francia fin dagli ultimi decenni dell’Ancient Regime, e in questi giorni, anche se le attenzioni internazionali sono rivolte a ben altra emergenza, ce lo ha ricordato. Tale mina vagante, però, per due secoli e mezzo, è stata sempre disinnescata per gli ammanicamenti delle cosiddette elites locali (Parigi è sempre Parigi, vuoi mettere con Ajaccio?).

E lo ha ricordato soprattutto a Emmanuel Macron, tra un colloquio inconcludente con Vladimir Putin e un altro. E’ insomma successo che versa in coma Yvan Colonna, nel carcere di Arles (Francia continentale), a suo tempo condannato per l’omicidio nel 1998 del prefetto di Ajaccio, dopo essere stato sottoposto per otto minuti a strangolamento da parte di un detenuto islamico per motivi, pare, religiosi.

Due osservazioni istintive: come si fa a sopravvivere “a otto minuti di strangolamento”? E poi: è davvero gente tosta, quella corsa, che non “prende le distanze”, non “condanna la violenza”, non “rispetta le sentenze”. Invece a quanto pare, se eroe ti riteneva, eroe continua a ritenerti nonostante tutte le carte bollate; e nonostante tu possa averla fatta davvero grossa. Evidentemente, questo povero prefetto, secondo gli ultras indipendentisti, “se la era cercata”: la vendetta, nella tradizione corsa, è un vero e proprio retaggio precristiano inestirpabile, con una valenza quasi giuridica. Il famoso coltello corso è d’altronde detto “vendetta corsa”.    

Sia per gli indipendentisti che per gli autonomisti corsi, Colonna sarebbe vittima dello stato francese, alludendo, credo alla strana modalità del suo gravissimo infortunio; ma l’accaduto è occasione per rinnovare soprattutto la rivendicazione che un corso almeno sconti la sua pena non in una prigione “francese” ma in una sita in Corsica.

Il ministro dell’Interno Gerald Darmanin si è lasciato scappare la promessa, più o meno, di “autonomia” per l’Isola: una classica promessa elettorale a beneficio del suo principale , che però sulla scia di disordini che se la sono presa anche con le forze dell’ ordine, alle destre francesi più o meno nazionaliste è apparsa un deprecabile, opportunistico cedimento.

Ovviamente noi de L’Ortis, alla faccia del Trattato del Quirinale, siamo ideologicamente favorevoli non all’autonomia della Corsica, bensì alla sua indipendenza. Guardiamo con simpatia all’indipendentismo corso, pur non approvando gli atti violenti spesso da tale movimentismo posti in essere.

L’autonomia, infatti, è un ibridismo istituzionale spesso utile ad affarismi e rendite elettorali: anche se onestamente e indubbiamente, sulla scorta delle esperienze italiane, garantisce pace e sviluppo; magari, per il Donbass l’Ucraina la avesse accettata!

Ritengo che l’indipendentismo sia meglio consono alla Corsica, che in fondo si trova “francese per caso”, da quando nel 1769 fu sottratta un po’ con l’inganno alla Repubblica di Genova, in decadenza anche più conclamata della sorella Serenissima di Venezia. E non si venga a dire a noi nazionalisti, che così facendo si dovrebbe adottare analoghi ragionamenti per l’isola sorella (la Sardegna, che nel movimento nazionale italiano invece ci è entrata sul tappeto rosso di Casa Savoia, proprio ad essa debitrice del titolo regale).  Il figlio più universalmente noto della Corsica (Napoleone, ovviamente, rancoroso per tumulti che ne bruciarono la casa di famiglia) ne liquidò ingenerosamente l’identità come per decreto e nel suo stile, sentenziando semplicemente che “doveva diventare francese”. Bizzarro, per chi sembra che in famiglia parlasse italiano, e che tenne a che il suo titolo regale, dopo quello imperiale francese, fosse di re d’ Italia.

E riteniamo che l’istanza indipendentista dovrebbe, almeno in modo notarile, contemplare l’ipotesi della (ri)unione corsa all’Italia, preferibilmente da decidere mediante referendum popolare. Ciò porrebbe fine, una volta per tutte, alla tripartizione nel campo corsista fra indipendentisti, autonomisti e irredentisti (i quali conobbero la loro irripetibile occasione in quell’annetto scarso dell’occupazione tra il 1942 e il 1943, prima che il luttuoso otto settembre facesse riconsegnare dall’Italia badogliana la Corsica a Parigi, su un piatto d’argento).

Ma purtroppo, una simile istanza, se il Trattato del Quirinale diventerà realtà, apparterrebbe al proverbiale Libro dei Sogni. O già lo è, con le cosiddette elites italiane patriottiche solo per le partite di pallone o nell’esaltare formaggi o macchine di lusso.

A. Martino      

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