SIAMO ORMAI ARRIVATI AL FATIDICO (COSI’ DICONO) 9 MAGGIO: QUANTO LA POVERA UCRAINA PUO’ ANCORA REGGERE LA SUA GUERRA SU COMMISSIONE? E SE ALLA FINE DELL’ANNO, PUTIN E LA RUSSIA FOSSERO ANCORA AL LORO POSTO?

Dal punto di vista militare, indubbiamente, le forze armate russe, non sono finora riuscite a ottenere in Ucraina tutti i risultati sperati. Pare che a ogni avanzata e successo in questo o quel settore territoriale (sempre purtroppo pagati a un prezzo che per i nostri canoni pacifistici sarebbe catastrofico), manchi sistematicamente una totalità di controllo che non può far gridare alla vittoria (quanto meno a quella con la V maiuscola).

Basti pensare al Donbass: dopo ben otto anni di guerra guerreggiata dalle milizie russofone e due mesi e mezzo di diretto impegno delle forze moscovite, le provincie di Donetsk e Lugansk sono tuttora parzialmente in mani ucraine, o quanto meno con vaste sacche di resistenza; indubbiamente, del terreno è stato sottratto a Kiev da parte di Mosca, ma a che prezzo soprattutto umano (caduti spesso giovanissimi) e di materiale (mezzi costosissimi come tutto il moderno armamento pesante)?

E Mariupol? Il secondo porto del Mar Nero se non sbaglio, è in mani russe ma non si riesce a “ripulire” la rete di bunker, anche antiatomici, del sottosuolo dell’ acciaieria : una infernale trama di cemento e leghe speciali che, eppure, realizzata in epoca sovietica, dovrebbe essere nota agli archivi di Mosca salvo qualche modifica degli ultimi tempi. E la propaganda euroatlantista (basti pensare a Bruno Vespa e alle mogli dell’Azov) sta facendo passare i 1500 di Mariupol per i nuovi 300 delle Termopili. E Putin, ovviamente, per Serse novello.

E vogliamo parlare di Odessa? Nonostante la “pioggia di missili” dell’enfasi giornalistica, dagli stessi servizi dei corrispondenti in diretta, si arguisce che di sicuro vengono colpiti obiettivi strategici o depositi di materiale militare qua e là, ma la vita nella città si svolge in modo relativamente normale. Le “stragi” degli ordigni russi, qualora non intercettati dai sofisticati sistemi antiaerei britannici o di oltreoceano, sono di due o tre civili: gli attentati dell’Intifada erano molto più micidiali. Lo sbarco, che tra febbraio e marzo appariva imminente anche se pur sempre aleatorio, sarebbe ora semplicemente folle, con le perdite gravi subite dalla Marina battente la bandiera con la Croce di san Giorgio.

Innumerevoli ormai, gli atti di sabotaggio (forse di elementi cospirativi interni) sul territorio russo, più di una volta oggetto addirittura di veri e propri raid ucraini. E’ chiaro che così la leadership moscovita non può andare avanti, se non a scapito di un lento ma inesorabile logoramento militare all’esterno, e del sostanziale consenso interno finora patriotticamente saldo. I mezzi forniti da paesi UE, britannici e americani per la loro guerra per procura, è innegabile, si fanno sentire: nel settore di Kharkiv, sembra che sia in atto una controffensiva che avrebbe portato al recupero di qualche villaggio.

E’ anche vero che il Sistema ucraino appare come un pugile dopato e aggressivo, ma pur sempre soggetto all’incalzare lento quanto violento e incessante, di un avversario che sembra smettere di bombardare di pugni il volto, per poi aggredire il torace o l’addome. Fino a quando quelle sostanze lo terranno in piedi?   

E’ improbabile che nel fatidico 9 maggio anniversario della vittoria contro la Germania nazista, Vladimir Putin dichiari la “guerra totale” (concetto hitleriano che il main stream cerca di mettergli in bocca): piuttosto forse la guerra vera e propria, con tanto di classica dichiarazione e formale impegno di tutto l’arsenale e personale russo. Il che, legalmente, introdurrebbe la legge marziale dal Baltico al Pacifico settentrionale e obbligherebbe gli uomini della Guardia nazionale, che hanno presentato ricorsi, a non rifiutarsi di combattere fuori dai confini della Federazione.

Assai strana, anzi inquietante, è la situazione dei negoziati di pace, dove le reali controparti della Russia (NATO e USA) latitano, e laddove il loro sedersi al tavolo negoziale renderebbe il tutto più sincero e inequivoco. Al momento il loro ruolo sembra limitarsi a rimettere in riga Zelensky quando qualche sua apertura potrebbe far intravedere la fine del massacro; con dichiarazioni palesi, e chissà quanti contatti o (diciamo pure) direttive agli ucraini non note alle opinioni pubbliche.

L’impressione assai sgradevole che i vari Stoltenberg, Biden e von Der Leyen offrono a chiunque sia in grado di guardare alla realtà oltre la propaganda, è che siano terrorizzati dalla prospettiva di un fallimentare esito dei mastodontici investimenti (un vero e proprio recovery plan del Grande reset in chiave russofobica): ovvero, semplicemente, che il Sistema Russia non crolli.

E da questo punto di vista, cari amici e lettori, ricordate questa fondamentale regola: l’ Occidente, al di là di ogni proclama e autoincensamento sui sacri valori di libertà e democrazia, un mondo filisteo è e sarà; investire quindi tanto capitale e ricchezza sull’ implosione della Russia, per restare con un pugno di mosche in mano, è una ipotesi che lo spinge disperatamente a non mollare la presa investendoci sempre di più come a riempire un pozzo senza fondo, fosse anche a costo di far fare un salto nel buio alle proprie economie (non tanto, certo e ovviamente a quella statunitense, quanto piuttosto a quelle europee). E sta di fatto che il rublo regge, come già notammo, migliorando addirittura il cambio rispetto ai livelli degli immediati giorni prima dell’invasione dell’Ucraina.

Un decimo, dodicesimo, “pacchetto di sanzioni”; ancora miliardi di dollari in armamenti ogni mese, anzi  quindicinali come certe riviste. Da questo punto di vista, è proprio difficile capire se il tempo giochi a favore più della Russia o dell’Occidente euroatlantista.

A. Martino

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