NELLA BOLLENTE ESTATE 2022, COL BOOM MEDIATICO DEI MATRIMONI GAY E LESBO (ANCHE DEI CARABINIERI) IL GENDER DIVENTA ROBA DA BENPENSANTI E IDEOLOGIA DI STATO.

Nel corso di questa estate, abbiamo assistito a un dipanarsi di svariati eventi legati al mondo LGBT, che sembrano oggettivamente indicare l’ormai raggiunta acquiescenza della opinione pubblica a tutte le sue dinamiche, inclusa anche e soprattutto la semantica: basti pensare al “marito” di un uomo o alla “moglie” di una donna.

Forse, le unioni civili omo (ormai percepite come matrimoni a tutti gli effetti quanto meno dai mass media main stream) fanno più notizia e simpatia del matrimonio “tradizionale” di cui si amplificano le malinconiche separazioni eccellenti dalla coppia Totti-Blasi a quella Amendola-Gerini; anche se nonostante tutto, l’ineffabile Enrico Letta ha inserito nel programma del PD il “matrimonio egalitario”.

Basti pensare al matrimonio con Paola Turci della ex compagna di Berlusconi, Francesca Pascale, e del mezzobusto di RAI 1 Alberto Matano, celebrante Mara Venier evidentemente con delega speciale di un sindaco. Da tempo gli outing dei due avevano costretto il main stream a depennare la prima dall’elenco delle presunte conquiste, seppure senili, del tycoon; ed il secondo dall’albo dei sex symbol italici seduttori e abbandonatori. Comunque, l’industria del trash politicamente corretto si è prontamente rifatta sommergendoci degli esempi di felicità coniugale rappresentati da queste famiglie 2.0 ed esaltando le coccole di Matano al compagno, e l’appassionato ideologismo della ex quasi prima donna di Arcore (sembra che il Cav, comprensibilmente, non abbia molto gradito).

Marginalmente, vorrei anche citare il caso del detenuto trans che negli USA (a luglio si è sparsa la notizia) ha ingravidato due sue compagne di cella: una specie di “richiamo della foresta” biologico con il quale il bizzarro personaggio potrebbe fare il gesto dell’ombrello a tanti uomini presunti machos ma con problemini andrologici e di fertilità vari. Ovviamente, del caso si è parlato ben poco, potendo esso indurre a conclusioni “trogloditiche” e “vergognose”.

Finora, però, l’apoteosi del trash sebbene e sicuramente involontario, e sebbene politicamente correttissimo e sicuramente con tanto di numero di protocollo ai sensi di questo e considerato questo o quell’articolo o comma di legge o regolamento o testo unico, è il “lesbowedding” della carabiniera di Cefalù. Non ne vogliano, a me e a L’Ortis, i cultori della santità e insindacabilità dei membri delle forze dell’ordine, sempre e comunque, alla Matteo Salvini, o anche i collezionisti di calendari dell’Arma dei carabinieri o i fan di Frassica-Maresciallo Cecchini  della stranota serie TV; le mie sono considerazioni di carattere iconografico, storico e antropologico con nulla di personale o diretto contro questo corpo di gendarmeria scelta piemontese (dato che fu creato nel 1814 a Torino dal re Vittorio Emanuele I di Savoia) divenuto ovviamente italiano nel 1861.

L’unione suddetta è stata celebrata dalle spose (davvero felici e radiose) l’una in alta uniforme storica, l’altra nel classico e candido abito da sposa. Alla coppia è stato tributato anche il tradizionale passaggio sotto le spade incrociate dei commilitoni parimenti radiosi e parimenti abbigliati.

Prima osservazione. Tutto questo ambaradan di uniformi postnapoleoniche, con scintillanti frange di spalline, spade e pennacchi, abbisogna sicuramente di autorizzazioni a livello almeno di comando locale. Sono state evidentemente concesse nel modo più ampio possibile, laddove sarebbe stata possibile anche una meno ridondante uniforme di gala femminile (in verità molto elegante, con copricapo di ordinanza alla marina USA per le donne) o magari la più maschia alta uniforme ordinaria con cordone argentato, bandoliera bella lucida, stivali e spada.

Penso fosse chiaro l’intento di un certo pugno allo stomaco estetico-iconografico, per ammonire chi ancora prende le distanze da certe cose, che “così vanno le cose oggi” e da parte di chi e cosa stanno le “istituzioni”: una logica assolutamente coerente con lo spirito dell’Arma, oscillante tra il missionario persino ingenuotto della propaganda di sempre e il temibile quanto inflessibile pretoriano. “Nei secoli fedele”: a chi comanda al momento? Ma lasciamo perdere questi complicati interrogativi storici, facilmente scivolanti nella polemica “religiosa” cioè “o con noi o contro di noi”.

Non è stato il primo matrimonio del genere in divisa, e non è stato l’ultimo. Ma innegabilmente, presso l’italiano medio, un messaggio del genere, così antropologicamente estremistico, proveniente da una delle istituzioni di cui si fida di più, ha un effetto di propaganda LGBTQI+ che Vladimir Luxuria non avrebbe mai sperato. Non solo legittima in un modo particolarmente solenne l’ideologia gender presentandola come, di fatto, ideologia di stato, ma tra le righe ammonisce che quelle spade così gioiosamente brandite, potrebbero esserlo, diversamente, contro chi osasse dissentire e criticare. E poi, significativa mi pare la collocazione geografica delle nozze in questione: Cefalù ovvero Sud profondo e Sicilia verace; i loro cliché naturalisti e tradizionalisti vanno distrutti e consegnati a un passato oscurantista e arretrato.

Seconda osservazione. A prescindere da qualunque dinamica gender dell’evento, quella particolare alta uniforme storica, quaranta anni fas, sarebbe stata giudicata assurda e grottesca se indossata da una donna: ora non più, anzi. E’ evidente un altro messaggio con imprimatur istituzionale: non c’è più carabiniere o carabiniera, come in fondo non vi è più uomo o donna, o maschio o femmina. Così vuole il Potere (scusate, le istituzioni democratiche) e basta. Il neutro, apparente stranezza della lingua latina applicata dai grammatici medievali al tedesco, gode la sua rivincita. Siamo tutti “neutri”, desiderosi che lo stato e i suoi rappresentanti ci proteggano e ci insegnino cosa fare e pensare.

Non ci servono più un parroco e neanche un professore, ma un/una maresciallo/a ben formato e educato. Se poi dovesse avere le unghie smaltate lui e una barba finta alla Conchita Wurst lei, ci sarà ancora più simpatico.

A. Martino

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