SPERIAMO CHE SI ARRIVI A NEGOZIATI PRIMA CHE A KHERSON SI SCATENI L’INFERNO

Per chiunque sappia qualcosa di storia militare, ci sono pessimi indizi: Kherson non sarà ripresa dagli ucraini con una passeggiata militare, e neanche con qualche raffica di missili Himars o una cavalcata di carri armati made in USA o fate voi.

Il comandante supremo dell’operazione è attualmente Sergey Surovikin (nella foto di testa) dal nomignolo poco rassicurante di “Armageddon” per via delle sue tattiche siriane. Come risorsa umano-militare, è ritenuto da molti osservatori occidentali la “ultima carta” di Vladimir Putin. Non è decisamente tipo, purtroppo, da mano pietosa verso possibili effetti collaterali a carico dei civili: nominato all’indomani dell’attentato (suicida?) al ponte di Kerc, i droni iraniani con relativa devastazione della rete energetica ucraina sono stati il suo biglietto da visita. Sicuramente, è sua la mano dura (nel senso della costrizione draconiana) a proposito dell’evacuazione dei civili da Kherson. E quando si mandano via i civili, vuol dire che i militari da una parte all’altra stanno preparando un’apocalisse. Realisticamente, lo fanno molto più per non guardarsi le spalle da sabotatori e partigiani che per pietà, credetemi.

Kherson ha una importanza strategica fondamentale: è collocata sul fiume Dnipro, ed è un fondamentale, imprescindibile in tempi di guerra, corridoio verso la Crimea. Impensabile che un comandante determinato come Surovikin ordini ritirate strategiche, accorciamenti del fronte o meline del genere.

Si sta tornando da parte dei russi, alle fortificazioni e trinceramenti classici: cemento, rifugi nel terreno, ostacoli vari per i mezzi corazzati. Ciò significa che prevedono una strategia difensiva, anche al lungo termine, ma di certo tenace fino alla disperazione. I militari moscoviti usano, non solo a ridosso del Dnipro ma anche e soprattutto nel Donbass, un particolare corazzato di progettazione sovietica (lo MDK-3), una cui versione risulta molto utile nello scavare trincee.

Insomma, speriamo che gli spiragli di possibilità negoziali sempre più si amplino: ma sul campo, la situazione sembra seguire tutta un’altra strada.

A. Martino

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