VE DO IO HALLOWEEN, MA ITALIANA E D’AUTORE. IL DELITTO DEL DIAVOLO DI TONINO CERVI

Anche quest’ anno, cerchiamo di volgere l’ormai ineludibile quanto mai abbastanza criticata festività anglosassonofila di Halloween, in qualcosa di culturalmente e patriotticamente utile, con declinazione cinematografica. Questa volta, vi propongo un film del 1970 (ovviamente horror, anche se visivamente non di impatto particolarmente aggressivo) di un intellettuale e regista che ha frequentato ben poco il genere, pur producendo una pellicola di particolare impatto sociopolitico; quindi sicuramente originale e quasi di culto.

Tra gli anni Sessanta e Settanta (epicentro il famoso Sessantotto, epicizzato direi in presa diretta), l’Italia anzi tutto il cosiddetto Occidente, vivono il definitivo collasso del predominio della morale tradizionale, la contestazione generale del Sistema, la secolarizzazione di massa, la crisi della famiglia, il culto della libertà assoluta e a prescindere, specie se sessuale. Non è qui il caso di ricordarci come gli esiti siano stati assolutamente fasulli e menzogneri (un nuovo conformismo e il politicamente corretto, etc.). Pierpaolo Pasolini docet.

Nel 1970 tutto ciò non era assolutamente maturato e interpretabile, avevamo semplicemente il Sistema repressivo e manipolatore di qua, giovani nell’ebbrezza della libertà ed entusiasti di contestare di là (almeno per gli intellettuali, le maggioranze silenziose sono poi tutt’altra cosa).

In questo humus si inserisce Il delitto del diavolo conosciuto anche come Le regine. Presto detta la trama: niente meno che Satana in persona, ovviamente senza corna e forcone ma in una lussuosa auto ed elegantissimo, incrocia un mezzo hippy (Ray Lovelock) e lo spinge, facendolo apparire responsabile di un grave incidente, in una cupa villa dove costui si imbatte in tre affascinanti amiche, o sorelle, o non si sa che. Esse lo sedurranno una alla volta, per infine indurlo a rinnegare ogni suo principio libertario per poi ucciderlo, in un finale efferato e impressionante che riscatta una narrazione centrale, tra lo spunto gotico iniziale e il quasi sorprendente splatter finale, alquanto noiosa.

Le tre femmine fin troppo fatali sono le Parche, e il Diavolo è la personificazione del Potere che grazie al sesso e alla corruzione, e manipolabilità della gioventù, riesce in ogni modo a controllare e gestire. Interessante la filosofia diabolica sul consumismo quale strumento di potere.

La metafora di fondo dell’apologo è contraddittoria (non si capisce se il diavolo si crogioli nel libertarismo o nella repressione), ma di certo siamo di fronte a una delle tante storie da grande schermo che un cinema di storielle sentimentali e politicamente corrette, ormai solo con grande rarefazione riesce a far apparire.

A. Martino

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