ADDIO A LANDO BUZZANCA. IN “ALL’ONOREVOLE PIACCIONO LE DONNE” IL SUO CAPOLAVORO SATIRICO

All’età di ottantasette anni se n’è andato Gerlando Buzzanca, in arte Lando Buzzanca.

Non è stato paragonabile alla enorme e versatilissima statura attoriale e teatrale di un Giancarlo Giannini, alla popolarità e straordinaria attività anche televisiva di un Lino Banfi, ai risvolti sociologici dell’antropologia impiegatizia e piccolissimo-borghese di Paolo Villaggio.

E’ stato però il Rocco Tano Siffredi con epicentro iconico negli anni Settanta: nel senso che, essendo all’epoca semplicemente impensabile lo sdoganamento di un attore porno, egli, con le sue fortunate incursioni televisive, rappresentò il confine estremo tra l’identità maschile e maschia e il mondo del “se sei contro non entrare, non è per te”.

Il merlo maschio, Homo eroticus: sono appena due dei titoli in cui Buzzanca, affiancato da degne rappresentanti dell’oggetto del desiderio degli italiani quali Laura Antonelli, Agostina Belli, Barbara Bouchet, Claudia Cardinale o Edwige Fenech, ha personificato l’essenza della mascolinità che qualcuno definisce siciliana o italiana, ma con tratti, io direi, universali.

Dopo la stasi degli anni Novanta con la stanchezza dell’erotismo nazionalpopolare e le prime avvisaglie di politicamente corretto, nei primi anni Duemila, Buzzanca assurge di nuovo alla grande popolarità principalmente con fortunatissime serie televisive dove, sinceramente, ci sembra abilmente sottomesso alla Correttezza e al Pensiero Unico, specie in Mio figlio, ove interpreta un funzionario di polizia in pensione che accetta entusiasticamente l’omosessualità del figlio anch’egli poliziotto.

Vorrei però ricordare Lando Buzzanca attraverso un film in particolare, non tra i più ricordati e popolari, ma probabilmente il suo più letteralmente eversivo e scorretto, quale d’ altronde non poteva non essere uno diretto da un regista a me particolarmente caro: Lucio Fulci. Il “terrorista dei generi” peraltro non poteva fare diversamente, avendo tra le mani un soggetto un po’ erotico, un po’ satira politica.  

All’ onorevole piacciono le donne (1972), o più esattamente col surreale sovratitolo dei manifesti “Nonostante le apparenze…e purché la nazione non lo sappia…all’onorevole piacciono le donne” è una pellicola del futuro “poeta della crudeltà” ferocemente antisistema e soprattutto antidemocristiana, sopravvissuta non si sa come e perché al vaglio della censura, che non poco la sforacchiò. Il cast, Buzzanca a parte, è di tutto rispetto, e alla sceneggiatura (chiaramente dissidente e antisistema) sembra che partecipò un giornalista di Destra radicale amico di Fulci.

In essa il Lando nazionale (il successo apicale di Lando Fiorini è successivo più o meno di un lustro) veste gli inequivocabili panni di Emilio Colombo (1920-2013), esponente di spicco della corrente cosiddetta dorotea della Balena bianca. Il “quasi statista” lucano dalla carriera di tutto rispetto (capo del governo, più volte ministro, deputato costituente ultimo a morire nel 2013, addirittura senatore a vita) appare nel film, almeno alla superficie, casto fino alla asessualità; insomma, disinteressato alle donne. All’epoca, non si preferì andare oltre questa empirica constatazione. Ne divenne di dominio pubblico poi, solo con la sua morte, l’omosessualità.

Vittorio Gassman rifiutò la parte del cardinale poi interpretato da Lionel Stander ritenendo la sceneggiatura troppo volgare. Pessimi furono i rapporti tra Lucio Fulci e Laura Antonelli, riottosa nelle sue parti nude.

L’onorevole Giacinto Puppis risulta tra i più quotati protagonisti delle votazioni per il Presidente della Repubblica, quando (persona religiosissima e indifferente ai richiami della carne) è preso da incredibili raptus che gli impongono una presa feroce sui glutei della malcapitata di turno. Il suo ritiro in un convento non lo aiuta affatto, anzi farà strame della purezza di tutte le suore ivi presenti (compresa quella interpretata da Laura Antonelli). Ciò, e nemmeno la silvestre seduzione dell’affascinate consorte dell’ambasciatore di Francia, non stroncherà affatto le sue velleità presidenziali: Puppis (nomen omen, alla faccia della morigeratezza) è manovrato da un tremendo cardinale che per mandare sul sommo Colle il suo protetto, non esiterà a usare ripetutamente, e nel modo più criminale, le proprie entrature mafiose. Il film si conclude, dopo tanto sfacelo morale e religioso, con le risate di un quiz di Mike Buongiorno.

Per qualcuno questa fatica fulciana sarebbe un pessimo prodotto, per qualcun altro è un film di culto.

Mi sembrano estremi entrambi i giudizi. Direi piuttosto che Lucio Fulci vi dà prova del suo coraggio intellettuale e lontananza da qualunque cinematografia “istituzionale”, e che Lando Buzzanca dimostra il suo talento interpretativo condito da una ironia sulla sessualità finora mai tanto da lui usata, e da una graffiante satira politica alla quale mai più tornerà.

Sono comunque innegabili delle sostanziali blasfemie che si rifugiano dietro il comodo paravento della narrazione surreale e boccaccesca: comprensibile il diniego del Mattatore.

Appaiono profetiche della crisi della Chiesa alcune intuizioni sulla profonda ipocrisia di parte del clero, e sulla deviata mondanità di certi porporati e monsignori: il cardinale Maravidi (maravedì era una antica moneta spagnola, sembra altro nomen omen), col senno del poi, appare impressionantemente anticipatore non solo di Marcinkus ma di tante altre vicende vaticane dell’oggi.

A. Martino

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