L’OBBLIGATORIETA’ DELL’AZIONE PENALE E’ UNA LEGGENDA METROPOLITANA

L’articolo 112 della costituzione della repubblica italiana recita testualmente: “Il pubblico ministero ha l’ obbligo di esercitare l’azione penale”.

Parole davvero chiare, secche, sintetiche. Chiare e sintetiche come forse raramente nella moderna tecnica di scrittura normativa. Probabilmente, anche un illetterato può capirne il senso, data la minacciosità almeno potenziale dell’espressione “azione penale”.

La sinteticità è però forse eccessiva in una terra come l’italica, dove sul non detto o non specificato prospera un “campa cavallo” ampio come per le enormi mandrie di cavalli allo stato brado del “vecchio selvaggio West”.

L’attuale ministro di Giustizia ha più volte stigmatizzato, ultima delle quali il 6 dicembre 2022, tale fittizio istituto definendo l’obbligatorietà dell’azione penale “un intollerabile arbitrio“. A fronte però di questo obbligo di inquisire che pirandellianamente si è tradotto in diritto a non inquisire, sempre il dott. Nordio (pubblico ministero in pensione della cui competenza sfido chiunque a disquisire), afferma che il Pm “può trovare spunti per indagare nei confronti di tutti senza rispondere a nessuno”.

Cerchiamo di capire qualcosa in questo apparentemente assurdo poter sostenere che “non siamo mica in America, dove i magistrati della pubblica accusa sono eletti e per compiacere l’elettorato non sono obbligati ad agire sempre”, ma anche l’assioma opposto della polemica garantista “i pubblici ministeri non sono controllati da nessuno e fanno quello che vogliono”. Il problema risiede piuttosto in istituti di ambigua prassi quali la archiviazione o la “iscrizione nel registro degli atti non costituenti notizia di reato”. Senza ignorare comunque, che la cosiddetta “tempistica” dell’iter di questo procedimento rispetto a quello o quell’ altro (con conseguenze in tema di prescrizione) dipende da un apprezzamento assolutamente insindacabile non solo di chi gestisce la fase accusatoria ma anche della magistratura in udienza giudicante.

E iniziamo a stabilire un punto fermo: se vi è un pubblico funzionario i cui poteri nell’ordinamento italiano sono totali riguardo la vita e l’onorabilità e credibilità delle persone, e limitati rispetto all’ antico “ius vitae ac necis” dei consoli romani solo in virtù del percorso della storia umana e dell’abolizione della pena di morte, questo è il Pubblico Ministero. Al suo confronto, un dirigente ministeriale è un super capufficio; un questore o un colonnello dei carabinieri una specie di responsabile di uomini di fiducia e fatica; uno stesso ministro o Presidente del consiglio dei ministri, qualcuno che “deve stare attento a quello che fa”; per non parlare di sindaci e amministratori locali vari che, siamo pratici, meno firme riguardanti spese pubbliche mettono, meglio è per loro.

Poi, certo, si può avere fede nella Dea Giustizia, che è bendata come la Dea Fortuna, quanto si vuole, ma anche se si è assolti, le spese giudiziarie restano a meno che non vi siano di mezzo anni di ingiusta detenzione; come resta anche, probabilmente a vita, il marchio dei “precedenti di polizia” (nuova creatura nata grazie alla digitalizzazione) dovuti al semplice aver avuto a che fare con un intervento della polizia giudiziaria. Tutta questa premessa serve a farvi capire che in effetti, alate parole della Carta fondamentale a parte, nessuno può sindacare quello che fa o non fa un pubblico ministero e neanche qualunque esito delle sue azioni, salvo un Procuratore Capo della repubblica in segrete stanze o un GIP (Giudice delle indagini preliminari, in pratica un pubblico ministero revisore) che voglia inficiare qualche passo procedurale come una archiviazione di procedimento. Basterebbe questo dato di fatto a svuotare già di molto, la fantomatica “obbligatorietà dell’azione penale”.

Ma qualche benpensante di confessione giustizialista potrebbe opporre: va bene, il pubblico ministero godrà pure di larga discrezionalità, forse anche troppa, ma nonostante gli uffici giudiziari ingolfati, il “poveretto” fa da castigamatti contro chiunque violi la legge; lo dice la Costituzione, cavolo! Ebbene, la risposta è purtroppo tranchant e disarmante come solo un monosillabo sa essere: NO.

Cerchiamo quindi, di seguire la immaginaria vicenda giudiziaria di un ipotetico cittadino che fittiziamente quanto ironicamente, chiamerò sig. Speranza, il quale un bel giorno (si fa per dire) decide di recarsi in Procura della Repubblica a depositare un esposto nei confronti del condomino di un immobile, in un appartamento del quale egli vive. Costui lo ha pubblicamente minacciato addirittura estraendo un coltello dalla tasca, per un banale gocciolamento di acqua dai vasi delle piante che lo Speranza ha sul balcone. Un episodio a dir poco sconcertante, avvenuto in presenza della moglie dello Speranza stesso, e soprattutto di altri due condomini. Dopo averci pensato e ripensato, e in accordo col coniuge, Speranza si decide al grave passo anche perché il fatto è testimoniabile da estranei e indiscutibile in quanto a veridicità.

Una prima piccola sorpresa il Sig. Speranza la ha quando il cancelliere della Procura non gli rilascia alcuna ricevuta dell’esposto, spiegandogli con cortesia quanto con fermezza che “non è prevista” alcuna attestazione di deposito dell’atto, e che fra trenta giorni potrà chiedere la sorte, al momento, dell’esposto.

Vagamente perplesso ma comunque fiducioso in quanto la “fiducia nelle istituzioni” è stata una costante della sua vita civica, il sig. Speranza torna in Procura dopo un mese circa e, riempito un certo modulo, mette nero su bianco la sua richiesta di conoscere la sorte dell’esposto: non vede l’ora di andare dal suo avvocato per difendere la propria onorabilità e cautelarsi con la propria famiglia, per il futuro, da ulteriori intemerate, magari più pericolose di quanto si pensi, di quello strano soggetto del piano di sotto di cui sempre poco si è saputo.

Passato un altro mese, e iniziato lo Speranza a nutrire qualche dubbio sulla reale trattazione del suo esposto, gli arriva una telefonata da parte del cancelliere che, con tono di straordinaria gravità forse simile a quello di Vittorio Emanuele III con Mussolini il fatidico 25 luglio, lo invita a tornare in Procura per il ritiro della “risposta alla Sua istanza”. Lo Speranza, appena può, vi si precipita e il solito cancelliere, se possibile ancora più “istituzionale” e grave delle altre volte pur se sempre cordiale, gli mette tra le mani un foglio intestato “Comunicazioni iscrizioni/informazioni ex art.335 c.p.p. etc.”

In esso si fa riferimento al suo esposto con tanto di corretta data di deposito, a cui avevano attribuito un bel numero di protocollo (che malpensante era stato….!), però immediata arriva una umiliante doccia fredda. Sì, perché l’agognato foglio dice che il grave fatto prospettato dal Sig. Speranza è stato inserito nel “registro degli atti NON COSTITUENTI notizia di reato”: insomma, la minaccia a mano armata o lui se l’è inventata (e gli è andata bene che non si sia beccato una denuncia per calunnia), o proprio come dice lì, minacciare qualcuno a mano armata….non costituisce reato. Inutile dire come, a questo punto, la fiducia civica di Speranza si sia alquanto incrinata. Quale il motivo di questa impensabile decisione del rappresentante della pubblica accusa? Favoritismo verso qualcuno cui sia inconfessabilmente connesso? Ignoranza, incredibile a dirsi e pensarsi, del diritto penale? Ritenere semplicemente il sig. Speranza un semplice pazzo vaneggiante? O più semplicemente, la non volontà di prendersi in carico un ennesimo procedimento? Lo Speranza mai lo saprà!

Ma come in certe sceneggiature cinematografiche, proviamo a immaginare un finale alternativo: e cioè, che l’esposto del Sig. Speranza sia ritenuto degno di essere inserito nel “registro degli atti COSTITUENTI notizia di reato”. Potrebbe arrivare però, a questo punto, la decisione del PM di mollare l’accusa: ufficialmente, secondo quello che insegnano i manuali universitari, quando egli stesso nel corso del procedimento dovesse rendersi conto che il processo probabilmente si concluderà in un’assoluzione. Ciò si chiama ARCHIVIAZIONE, da richiedere al GIP e contro cui il buon Sig. Speranza può presentare ricorso, che verrà respinto o darà luogo a una ulteriore archiviazione da parte di un PM a questo punto, anche indispettito dalla insistenza. L’archiviazione è teoricamente un istituto di grande civiltà giuridica, come intuibile, ma può trasformarsi in un mero cestino delle cartacce come nel caso precedente, per i motivi anche questa volta, più svariati e insondabili.

Si può quindi ben dire che in Italia, sulle orme della vita giudiziaria reale e non di quella descritta sui manuali universitari di Giurisprudenza o in TV dal Vespone o sui giornaloni, l’obbligatorietà dell’azione penale non esiste, e che il dottor Nordio, che nella sua carriera ne ha viste sicuramente di tutti i colori e sfumature, ha totalmente ragione.

A. Martino

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