POVERA ITALIA! IL SISTEMA È IN CRISI ANCHE PERCHÈ NON È PALESEMENTE IN GRADO DI GESTIRE UNO SCIOPERO DELLA FAME

Il caso Cospito rappresenta senz’altro il cortocircuito più grave finora occorso nella storia della Repubblica Italiana.

Le sue idee, infatti, sono  le più lontane che si possano mai immaginare rispetto a questo giornale, ma, parafrasando Voltaire, non possiamo non ribadire il concetto secondo il quale, anche se noi possiamo combattere le idee degli anarchici, perché sono diverse dalle nostre, saremo pur sempre pronti a batterci  al costo della nostra stessa vita affinché, anche loro, possano esprimerle liberamente, in quanto, alla fine, dovrà sempre e solo essere il popolo a giudicare chi, tra queste correnti di pensiero, sia più idonea a realizzare il destino della nostra comunità.

Nel caso di specie, Alfredo Cospito, anarchico pescarese di 56 anni, deve necessariamente restare in carcere non solo perché si è macchiato della gambizzazione del dirigente dell’Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi – o del tentativo di attuare una strage presso la scuola allievi carabinieri di Fossano, in provincia di Cuneo, attraverso due ordigni esplosivi: uno di minore potenza, usato come richiamo ed il secondo, ad alto potenziale, temporizzato, per fare il maggior numero di vittime possibili e che solo per caso non fece né morti né feriti – quanto perché, fin dagli anni ’90, si è macchiato di una serie di piccoli reati, come, ad esempio, la diserzione dal servizio di leva, e per i quali non ha mai mostrato nessun segno di pentimento, ma, da qui, ad affibbiare a Cospito il 41bis, francamente, ce ne passa!

Infatti l’inopportunità del 41bis verso Cospito non è solo dovuta alla natura dei propri reati, completamente slegati e distanti anni luce dall’attività mafiosa, quanto dall’errore tattico che si commette nel perseguire il reato politico cercando di togliere la voce a chi ha commesso tali crimini.

D’altronde se è vero che i mafiosi hanno dei seguaci, i così detti affiliati, i quali attendono, costantemente, una parola od un segno dai loro capi, anche quando questi sono detenuti, per attuare ogni sorta di nefandezza, è altresì vero che i mafiosi non hanno un largo seguito popolare, né attraggano i giovani idealisti, né tantomeno hanno argomentazioni tali da addurre un qualche discrimine allo Stato Italiano, mentre, di contro, gli anarchici, pur non avendo una scala gerarchica, e non disponendo di un’organizzazione capillare sul territorio, hanno la possibilità, se messi, come in questo caso, sul banco dei martiri, di fare breccia nel cuore dei più sensibili, degli ultimi, dei più giovani e di insinuare il dubbio ed il disagio anche li dove non vi dovrebbe essere.

Se non fosse così non si capirebbe come sia possibile che 800 persone siano scese in piazza, a Roma, in solidarietà verso Cospito ed abbiano avuto l’ardire di scontrarsi con Polizia

Certo, qualcuno potrà sostenere che 800 sia un piccolo numero, ma se ci pensate bene non è poi così piccolo visto che, Forza Nuova, un’organizzazione certamente più strutturata ed attiva sul territorio da tanti anni, non è mai riuscita a mettere insieme un numero così alto di partecipanti.

E che dire dell’occupazione e dei manifesti contro lo Stato presso l’Università La Sapienza a Roma?

Il fatto poi che i mafiosi condannarti al carcere duro siano d’accordo con Cospito è di una tale banalità, e di una tale e scontata naturalezza, che questo fatto farebbe impallidire anche l’ovvietà del sorgere del sole quotidiano.

Ciò che invece dovrebbe preoccupare le Istituzioni, se queste fossero rette da uomini e donne “seri”, non è il fatto che i vertici della mala siano d’accordo con gli anarchici, ma che questa saldatura abbia fatto si che, un’esigenza – che è anche del nemico numero uno dello Stato, cioè delle Mafie – sia ora discussa, da giorni, non solo presso i principali organi d’informazione, ma, che abbia trovato asilo anche presso le aule universitarie, le sedi parlamentari, ed i luoghi di ritrovo …

Ecco l’errore tattico dov’è!

I giornalai, e tutti gli altri professionisti dell’informazione, insomma, stanno facendo di Alfredo Cospito il nuovo Sacco & Vanzetti, perché, in fin dei conti, su di una cosa l’anarchico pescarese ha ragione: non si può e non si deve mettere il bavaglio a chi ha commesso dei reati politici.

Persino durante il periodo storico dell’Italia liberale, dove addirittura ci fu il regicidio di Re Umberto I, per mano, appunto, dell’anarchico Gaetano Bresci, i libertari parlavano e si spostavano dall’Italia alla Francia come se nulla fosse.

Charles Malato con il suo girovagare per mezza Europa al fine di propagandare le idee anarchiche fu uno senz’altro degli esempi più vividi, e questo fenomeno, si badi bene, riguardava tutto il mondo.

Fu infatti in quegli anni che si compirono i più clamorosi delitti anarchici:

  • 1881. A Pietroburgo viene ucciso lo zar Alessandro II;
  • 1898. A Ginevra viene uccisa l’Imperatrice austro-ungarica Elisabetta dall’italiano Lucheni;
  • 1900. A Monza Gaetano Bresci esplose 4 colpi di revolver sul volto di Umberto I mettendone a centro 3. Il Re morì sul colpo;
  • 1901. Il presidente USA McKinley viene freddato a Bufalo;
  • 1905. A Pietroburgo una bomba distrugge la carrozza dell’ arciduca Sergio, appena dimessosi da governatore (i suoi resti furono ritrovati anche sui tetti);
  • 1911. A Kiev viene ucciso il Primo Ministro Stolypin. Poco prima un attentato alla sua villa aveva provocato ben 32 morti.

Era dunque quello il periodo dei cosiddetti “bombaroli” che venivano si perseguiti dalle autorità dell’epoca, ma, con la giusta cautela, per non creare ulteriori emulazioni.

Si pensi ad esempio che per Gaetano Bresci, pur avendo ucciso Re Umberto I, non fu emanata nessuna legge speciale, e siccome la pena di morte era stata abolita in Italia nel 1889 con il codice Zanardelli, all’anarchico pratese non fu comminata la pena di morte ma semplicemente l’ergastolo.

Era quindi sprovveduta la classe politica dell’epoca?

Certo che no, anzi per certi versi era più previdente ed accorta dell’attuale.

Guardando invece relativamente ai tempi più vicini che dire della visita, dell’ex Eurodeputato della Democrazia Proletaria, Eugenio Melandri, nel 1991 a Renato Curcio, fondatore delle Brigate Rosse, detenuto presso il carcere di Rebibbia insieme a tutti gli altri criminali politici, per cercare la grazia al Presidente Cossiga?

Erano forse tutti impazziti?

E cosa dire della campagna di solidarietà sollevatasi negli anni 70 all’indomani dell’arresto del  filosofo e politologo radicale, Tony Negri, accusato, all’epoca, di “complicità politica e morale” con le Brigate Rosse in una controversa e discussa inchiesta giudiziaria chiamata giornalisticamente “Processo 7 aprile”, per la quale era indicato come il cervello a capo di tutto il mondo eversivo della sinistra italiana?

Se ne parlava e si facevano parlare, anche in maniera indiretta, gli attori protagonisti della vicenda, consci del fatto che la maggioranza silenziosa avrebbe sempre scelto la parte giusta.

Oggi, invece, i nostri politicanti dimenticano che la maggioranza silenziosa non è andata a votare ergo chi Governa in Italia, di fatto, non ha l’appoggio del 50% +1 degli elettori, ma, bene che gli vada, ha il consenso solo del 25% degli aventi diritto.

Capite dunque da voi stessi quanto sia delicata questa situazione.

Per mantenere la pace interna l’attuale Esecutivo avrebbe bisogno di muoversi con più circospezione e non come un elefante in cristalleria.

In definitiva, come giornale, suggeriamo di:

  • Abolire il 41bis solo per i reati politici;
  • Tornare alla durezza del 41bis nella versione del 1992 per i mafiosi;
  • Abolire l’art. 293bis del Codice Penale che punisce l’innocua oggettistica legata ad un certo periodo storico, repressione quantomeno infantilmente isterica in quanto sono i gesti e le armi che potrebbero, eventualmente, turbare la convivenza civile e la sicurezza delle istituzioni e non un poster piuttosto che un portachiavi od una statuetta.

Anche perché, se un’istituzione democratica, come la Repubblica Italiana, deve temere, o può essere messa in ginocchio, per una parola di troppo, o per l’esibizione, da parte di taluni, di una semplice effige sgradita a quest’ultima, vuol dire che essa è già morta!

Lorenzo Valloreja

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