LA TELEVISIONE PUBBLICA FRA L’INSULSO RITUALE SANREMESE E L’EMOZIONANTE RICORDO DELLE FOIBE.

Non credo che al mondo ci sia qualcosa di simile al Festival della canzone italiana, che ogni anno dal 1951 si svolge in Sanremo, comunemente detto Festival di Sanremo, o semplicemente Sanremo.

Essendo dopo pochissimi anni verificatosi l’avvento delle regolari trasmissioni televisive in Italia, “mamma RAI” immediatamente se ne appropriò e il connubio non si è mai interrotto, salvo allentarsi negli anni Settanta (trasmissione della sola serata conclusiva) , e rafforzarsi progressivamente a partire dall’era Baudo, fino a occupare con lunghissime dirette serali il palinsesto della prima rete RAI addirittura dal martedì alla domenica.

La liturgia canterina di mezzo inverno, preludio ai cioccolatini e rose di San Valentino o anche ai fritti di Carnevale, è ormai una istituzione, nel vero senso del termine. Come tale, chi ne parla male, nonostante la  libertà di parola e di pensiero, è visto in fondo come un mattoide, un provocatore, o peggio, un soggetto fondamentalmente pericoloso.

Ma cosa possiamo farci, se il mondo ci apparirebbe non dico migliore , ma di sicuro ci romperebbe un tantino meno le scatole, se il Festival di Sanremo non esistesse?

L’italiano medio lobotomizzato passa tre o quattro ore a guardare con occhi frastornati una Corte dei Miracoli di presentatori-intrattenitori in smoking, soubrettes o roba del genere di contorno in abiti da diecimila euro ma rigorosamente senza calze, abbuffandosi di canzoni pochissime delle quali sopravvivranno a Pasqua, tutti e tutte pagati quanto in una vita lavorativa media un autoferrotramviere o un operaio specializzato non riusciranno a guadagnare. E’ un meccanismo analogo se non più estremo del calcio, dove è vero che un campione stellare ormai si misura su milioni e milioni di euro, ma nel caso di Sanremo parliamo di cinque (dicasi cinque) serate.

Tutto in esso è di una istituzionalità esasperata ed esasperante almeno fin dagli anni ottanta crepuscolari per la Prima Repubblica, e del pippobaudismo trionfante.  E da dieci o quindi anni, tale istituzionalità si salda al politicamente corretto e al Pensiero unico : non c’ è mai una sola parola o gesto, o allusione, di un cantante, di un conduttore, di un intrattenitore, fuori da tali binari. Anche le ospitate devono avere logiche ferree: il gay, la lotta per i diritti delle donne, ecc.  E c’ è la censura nella scelta delle canzoni, non solo nel copione dei dialoghi (spesso demenziali) sul palcoscenico : ne hanno fatto quest’anno le spese i New Trolls.

Anche le cosiddette trasgressioni e provocazioni sono assolutamente ortodosse, si attacca adesso un Salvini come nel passato un Berlusconi perché uomini materialmente ai vertici di queste istituzioni ma “moralmente” fuori da esse, senza bollinatura di antifascismo, senza organicità all’ estabilishement ecc. Ma questo , in fondo, più che Sanremo, è la RAI : il principale strumento di controllo e gestione della cultura, dei gusti, dei consumi, degli orientamenti politici delle masse italiche.

Eppure, su quel fronte qualcosa si sta muovendo : proprio in concomitanza con la penultima serata della kermesse sulla Riviera dei Fiori, la sera dell’otto febbraio, la più sinistrorsa delle reti RAI, ha clamorosamente mandato in onda “ Red Land (Rosso Istria)”. Esso è un film intenso, di notevole qualità nella ricostruzione storica, che a qualsiasi italiano ( vero italiano, ovviamente), dà emozioni intense e una profonda amarezza nel rivivere non solo gli ormai risaputi orrori delle foibe, ma anche la profonda stupidità di non pochi italiani che, accecati dall’ideologia, scelsero di servire i carnefici dei loro fratelli nella nazionalità, pagando d’altronde molti di essi con la vita, tale assurdità. Ma in fondo, anche il buon Pertini ( il “partigiano come presidente” del trionfo sanremese di Toto Cotugno) baciò la bandiera yugoslava e abbracciò affettuosamente il collega di sempre Tito ( collega non solo nella presidenza ma anche nel massacro di fascisti, italiani e non).   

La scelta del palinsesto ha tutta l’aria di risarcimento per l’incredibile avallo, da parte dell’ ANPI, della tesi per cui i martiri delle foibe “in fondo erano tutti fascisti”, che ha suscitato l’ipotesi di Matteo Salvini di tagliare i contributi a tale strana associazione (dico strana perché la sua visibilità e peso sulla cultura storica è inversamente proporzionale alla esiguità dei partigiani veri ancora in vita). Oltretutto, è assolutamente insolito e forzoso, che un film passi in televisione a due mesi dalla visione nelle sale cinematografiche.  Speriamo che non si tratti solo di un contentino per rabbonire il Capitano, ma di un indizio di vero cambiamento nella RAI della presidenza Foa.

A.Martino

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