RABBIA DEI FAMILIARI DELLE VITTIME DI RIGOPIANO DOPO LA SENTENZA DEL TRIBUNALE

Alla fine, la sentenza è arrivata ed è riuscita a surriscaldare persino le obitoriali lastre di marmo ordinario che lastricano le pareti spoglie del tribunale di Pescara, con cui una volta si facevano anche i ripiani di tavolo delle cucine popolari.

Ventinove le vittime di uno dei peggiori disastri colposi italiani (il resort Rigopiano di Farindola nel 2017) di questo ormai quarto di secolo; trenta gli imputati; venticinque gli assolti a fronte di ventisei condanne richieste dalla pubblica accusa (è scesa in campo una armata giuridica “con orgogliosa sicurezza” di ben tre pubblici ministeri tra cui lo stesso Procuratore capo di Pescara dott. Bellelli) il cui accoglimento accusatorio avrebbe comportato la bellezza o bruttezza di 151 anni di galera (“pesca a strascico” secondo un agguerrito difensore la cui allegoria ben comprensibile a un pescarese fu sdegnosamente contestata dalla replica del Procuratore capo).

Invece, solo cinque condannati per il totale, udite udite, di “ben” dieci anni e quattro mesi di reclusione, tra cui il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta che con i suoi due anni e otto mesi appare alquanto sfortunato; non la penserà così la Procura, però, che aveva chiesto undici anni di carcere per quel primo cittadino. Le poche condanne riguardano livelli amministrativi e di responsabilità giuridica bassi e medio-bassi: un sindaco, dirigenti di Provincia, il proprietario dell’albergo, un tecnico redattore di una relazione.

D’altronde, la scelta del rito abbreviato ha comportato l’irrogazione di pene ridotte.

I familiari delle vittime non l’hanno presa, ovviamente, per nulla bene. Urla, rabbia a stento sedata dalle forze dell’ordine massicciamente presenti, insulti, persino (secondo una interpretazione severa di certe urlate parole) minacce al magistrato giudicante. Spero che il buon senso faccia chiudere un occhio (anzi entrambe le orecchie) a chi di dovere, e che non si proceda per ipotesi di oltraggio o altro, aggiungendo esasperazione ad esasperazione.

Figuriamoci se lo scrivente, o questa testata in generale, possa mai invocare il principio per cui “le sentenze non si commentano ma si eseguono”, però prendersela col singolo magistrato che, ne sono sicuro, ha deciso in buona fede, secondo scienza (giuridica, la più inesatta del mondo) e coscienza (la sua), non ha razionalmente senso.

Ci sarà l’Appello, ci sarà la Cassazione: la via crucis non è finita, è questo il sistema giudiziario per cui “tot capita tot sententiae”, cioè ognuno la pensa in un modo; infatti, ad esempio, per la Procura della Repubblica l’ex prefetto di Pescara dott. Provolo meritava quindici anni di carcere mentre per il magistrato giudicante è un irreprensibile ex rappresentante del governo nella provincia dannunziana.

Mi spiace essere costretto a buttarla in politica, ma questo è un foglio militante, non è un rotocalco di Cairo. Vogliamo il “moderatismo”, la “fiducia nelle istituzioni e nella magistratura” e così via? Allora, teniamoci pure questa roba.

Alle ultime elezioni per il Parlamento europeo si candidò nelle file di Forza Nuova uno dei più agguerriti e battaglieri familiari parte civile; quanti voti credete che abbia preso? Non credo proprio che, almeno tutti gli altri familiari delle vittime di quella dannata valanga, lo abbiano votato e fatto votare.

Fino a quando si continuerà a votare per gli alfieri fanatici di questo sistema euroatlantista e oligarchico, o per gli specchietti per le allodole più o meno “tricolori”, senza lamentarvi tenetevelo ben stretto assieme a questa (In)Giustizia.

A. Martino

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