L’UCRAINA FA VANDALISMO MILITARE A DANNO DEL PONTE DI KERCH PER MASCHERARE LA SUA FALLIMENTARE OFFENSIVA, E LA RUSSIA COLPISCE DURO SUL GRANO (CON BOMBE SU ODESSA, E NEL COMMERCIO INTERNAZIONALE).

Sostanzialmente fallita la tanto pubblicizzata offensiva ucraina, parrebbe quasi che in realtà si sia alla controffensiva russa. Addirittura, secondo fonti di intelligence ucraine, i russi avrebbero ammassato ben centomila uomini e novecento carri armati nella regione di Kharkiv.

I dati di intelligence diffusi a mezzo conferenza stampa mi lasciano sempre alquanto perplesso, come già scrissi: è probabile però, che diffondendo questi allarmi più o meno veritieri, Kiev presenti una nuova, salata, lista ai suoi armieri che difendono l’ “aggredito” contro l’ “aggressore”. 

In rappresaglia al bombardamento (ennesimo) dell’imponente ponte di Kerch a mezzo di drone, le forze di Mosca hanno fatto altrettanto nei riguardi delle infrastrutture portuali di Odessa. Dato il valore simbolico e morale del Ponte in semantica, antropologia e religione, sicuramente vi è da rattristarsi. Le autorità russe lamentano due morti e una bambina ferita: un bilancio pur sempre luttuoso ma poteva andare molto, ma molto peggio, dato che a tratti il viadotto smisurato ospita code di automobili persino di oltre 10 chilometri,  di vacanzieri russi che muovono verso le belle spiagge crimeane.

Ai generali ucraini e russi, però, sicuramente, non interessava lanciare o analizzare simili messaggi, bensì (agli ucraini) colpire nuovamente l’opera-simbolo tanto dell’ingegneria civile tardoputiniana quanto del ritorno della Crimea a Madre Russia coprendo in qualche modo agli occhi dei “boss” occidentali la fallimentare campagna di primavera-estate; e ai russi, mostrare i muscoli mostrando di saper colpire per ritorsione, quindi quando e dove si vuole. 

La ritorsione su Odessa però, ha avuto un valore militare molto più apprezzabile, che si ricollega alla riesplosione della questione del grano. Ieri diciassette luglio , il portavoce del Cremlino Peskov ha ufficialmente annunciato il ritiro di Mosca dall’accordo che, in effetti, allora scadeva.

Il comando militare meridionale di Zelensky ha affermato che pur avendo abbattuto le testate russe :“I detriti dei missili hanno danneggiato le infrastrutture portuali”. Secondo il capo dell’ufficio della presidenza Andry Yermak, “l’attacco notturno della Russia a Odessa e Mykolaiv prova che lo Stato terrorista russo vuole mettere in pericolo la vita di 400 milioni di persone in vari Paesi che dipendono dalle esportazioni alimentari ucraine“.

Tesi prontamente ripresa, tra gli altri, anche da Giorgia Meloni o dal Segretario generale dell’ONU. Queste signore e questi signori, evidentemente,  non si rendono conto che la Russia, oltre che sganciare missili e sguinzagliare carri armati “illegalmente”, fa anche i propri interessi senza le armi e nell’ambito delle trattative internazionali che come ogni contrattualistica si reggono su un “do ut des”. Ma probabilmente, la nostra premier commenta allarmata, dato che teme che una crisi alimentare avrebbe un impatto devastante sul flusso migratorio.

A parte i dieci o venti “pacchetti di sanzioni” eurocratici e americani che avrebbero dovuto far saltare l’economia russa almeno da un anno o più, la Russia chiedeva che almeno si allentassero, specularmente, le sanzioni nel campo agricolo e dei fertilizzanti.

Così non è stato, e ora Putin, spinto a una postura più nazionalista e dura dai fatti della Wagner, dice ai suoi, sembra, che non vuole più farsi “sputare in faccia”.

Putin ha tenuto a precisare che dell’argomento, anche se è in vista un bilaterale con Erdogan, non intenderà parlare. Una sottile vendetta verso il Sultano un anno fa artefice di una brillante mediazione circa la questione del grano, il quale però ha trasgredito la parola data consegnando graziosamente a Zelensky gli ufficiali dell’Azov che avrebbero dovuto rimanere internati in Turchia fino alla fine della guerra. Ma questo incontro si terrà?

A. Martino

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