LA DITTATURA TECNOSANITARIA CONDANNA A MORTE LA RISTORAZIONE ITALIANA, MA I RISTORATORI NON CI STANNO

La sera del 28 aprile, numerose attività di ristorazione e pasticceria, bar e caffè (insomma un po’ tutta la galassia enogastronomica), hanno acceso le loro luci, spente da ormai ben oltre due mesi, e apparecchiato un tavolo all’ esterno.

Il giorno dopo, loro rappresentanze hanno simbolicamente consegnato le chiavi dei locali nelle mani dei rispettivi sindaci: una protesta assolutamente pacifica e civile. Ma anche un grido di dolore che il Sistema non deve assolutamente ignorare, o minimizzare all’ insegna del ”abbiate fiducia, ce la stiamo mettendo tutta”. Il settore con il suo indotto e la stretta interazione con il settore turistico, è più cruciale di quanto si pensi nella nostra Italia che da tempo il globalismo ha condannato, sostanzialmente, alla deindustrializzazione e alla terziarizzazione.

Gianfranco Vissani (uno dei nostri cuochi più “stellati” e mediatici) si sta generosamente spendendo nella battaglia dei ristoratori e dintorni; anche se, pur in difficoltà, potrebbe starsene a guardare nella torre d’ avorio dei suoi super ristoranti sparsi per il mondo, che sicuramente possono permettersi una tale avversità più del baretto sotto casa o della pizzeria da trenta coperti.

Così il grande chef a La Verità : “Hanno deciso che dobbiamo morire come categoria e come rappresentanti della qualità italiana, bisogna togliere di mezzo queste regole assurde e mettere soldi a fondo perduto”. E già: altro che agevolazioni creditizie o elemosine una tantum.

Andando avanti così – dice Vissani -, i due terzi dei ristoranti non riapriranno più e anche per me è impossibile continuare a cucinare in queste condizioni. Anche per gli stellati, dietro ai quali ci sono spesso fondi di investimento, la situazione è difficile: se questi ultimi decidono di non immettere più soldi anche questi ristoranti devono chiudere”.

Riguardo poi le folli (lo possiamo dire?) quanto rigidissime misure sul “distanziamento sociale” afferma lo “stellato”: “La nostra cucina ha bisogno di cura, come lo spiego un piatto?”,  aggiungendo che “ci vuole rispetto per la cucina e anche per i dipendenti ai quali non è ancora arrivato un soldo dalla cassa integrazione”. E fa notare le, diciamo noi, “piccole difficoltà” derivanti dal servire una pietanza ad almeno un metro di distanza tra servente e cliente, e che stando così le cose i due terzi delle attività non riapriranno.

Ci prestiamo a fare da umile megafono alla disperazione di questi lavoratori italiani, riportando quanto da loro affermato nella lettera aperta al Presidente del C. d. m. Giuseppe Conte :”….manca un presupposto fondamentale nei nostri riguardi, il rispetto. Il rispetto che da ora in poi, pretendiamo da voi”.

“…..Ci volete far aprire per scaricare ancora una volta tutti i problemi su di noi per poi abbandonarci di nuovo? Se lo dimentichi! […] Siamo il motore del PIL Italiano, considerando gli 86 Miliardi di fatturato e non calcolando l’indotto! Noi siamo quelli che danno occupazione a 1.300.000 addetti e siamo l’unica categoria che paga la formazione del personale dal primo giorno che entra in azienda”, proseguono i ristoratori mobilitatisi.

Ed ancora: “Pensate di metterci il cappio al collo con altre regole e spese insostenibili per le sanificazioni obbligatorie per riaprire le nostre attività?
Ma chi li ha i soldi per sostenerle? I vostri controlli non possono e non devono più essere truffe legalizzate per continuare ad affamarci. Noi siamo, se ancora non è chiaro, la parte più produttiva di questo Paese e non ve lo permetteremo più
“.

“Andrà tutto bene”: roba da pazzi.

A.Martino

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