VINCENZO DE LUCA, “O PROFESSORE” METASTASI DEL COMUNISMO DITTATORIALE ALL’ OMBRA DEL VESUVIO

A Napoli “si è assistito a uno spettacolo indegno di violenza e di guerriglia urbana organizzata, che nulla ha da spartire con le categorie sociali“, afferma il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca sui disordini a Napoli, come al solito via social. “Nel nostro territorio si applicavano le stesse ordinanze disposte a Milano e a Roma…… E mentre a Milano e Roma le città erano deserte, a Napoli c’erano violenze e vandalismo. Si va avanti con il rigore“. 

Un commento piuttosto sobrio e moderato, persino vagamente smarrito, dati i toni solitamente usati da chi nell’ allora PCI campano salernitano e campano era chiamato Pol Pot; i lanciafiamme di cui dotare la Benemerita per abbrustolire  nei loro  bunker i festeggiatori di lauree, non sono ipotizzati per il vero ordine pubblico. Evidentemente, l’ ex sindaco-sceriffo di Salerno, scaltrissimo animale politico, sa bene a chi non pestare troppo i piedi.

Leggendo la biografia di Vincenzo De Luca, devo dire di essere rimasto sorpreso dal suo essere non solo laureato in Storia e filosofia, ma aver addirittura insegnato in scuole superiori di Salerno e provincia. Insomma, è davvero e a buon diritto “ o professore”, come spesso in certi ambienti, da quelle parti, si indicano taluni uomini di potere ( e di cattivo potere) purché con un certo eloquio e qualche discreto trascorso scolastico. Sono rimasto sorpreso perché la rozzezza e violenza concettuale delle sue idee, la stessa cadenza intimidatoria e da esaurito cronico della sua voce nei proclami corrispondente in pieno, e inquietantemente, alle interpretazioni cinematografiche dei boss della camorra del tipo “giacca e cravatta”, ne fanno, forse oltre le sue intenzioni, una specie di trailer della serie TV “Gomorra”.

Non ha nulla della bonarietà e umanità di fondo dei personaggi della sceneggiata napoletana: non sorride mai, non fa mai una battuta di spirito, è un ibrido tra un governatore locale cinese e un pezzo da novanta della Little italy newyorkese degli anni Venti. E della sceneggiata non ha neanche il sottile fascino oscuro dell’ “uomo contro” sempre elegante, affabile e artatamente signorile ma con il coltello a serramanico nella tasca del doppio petto.

Non polemizza con i suoi avversari, li insulta e minaccia direttamente; la contrapposizione politica per lui significa disprezzo. Le sue dirette Facebook sono una versione casareccia degli sfoghi di rabbia in video di Saddam o Gheddafi.

Ha inveito da buon vecchio “compagno” stile Stalin durante il lockdown contro le “manifestazioni religiose” e benché ex docente, ritiene la scuola l’ ultima delle utilità sociali tanto da chiudere tutti gli istituti campani di ogni ordine e grado, di sua iniziativa. Sa prendersela con la in fondo innocua americanata di Alluian, o come lui la chiama, Halloween, ma non con il suo assessore alla Sanità o con il ministro Roberto Speranza del suo partito, che da marzo non sono riusciti a far nulla per fronteggiare la scontata “seconda ondata” della pandemia se non chiacchiere e garanzia di aiuti da mamma Europa.

Sa solo tentare di consolidare il suo potere spargendo terrore tra i suoi amministrati, e paventando quotidianamente il collasso dei reparti di terapia intensiva. E anche qui, purtroppo, caschiamo sempre su quella analogia e similitudine, su una sgradevole affinità elettiva con i boss e capobastone vari che si alimentano di paura.

E in tutta questa situazione, ovviamente, un Pol Pot nuota come quei pesciolini di acquario curiosamente somiglianti a dei minuscoli squali. La dittatura tecnico-sanitaria cornice delle sue farneticazioni apocalittiche e minacce, per un simile figuro, sarà politicamente o la sua vergogna, o la sua apoteosi. Io mi auguro ovviamente, e con qualche speranza dalla notte scorsa, la prima ipotesi.

A.Martino

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