29 NOVEMBRE 2020 : ARRIVA UFFICIALMENTE LA PREGHIERA DEL PADRE NOSTRO POLITICAMENTE CORRETTA

A partire dalle Messe odierne (29 novembre per lo scrivente, nda), la preghiera del Padre Nostro, ben nota anche al più tiepido cristiano del mondo di ogni confessione e ricalcata su una preghiera evangelica di Gesù stesso, subisce delle modifiche.

Così è stato stabilito per l’Italia dalla Conferenza episcopale italiana ovviamente con autorizzazione vaticana, non so francamente quale sia la situazione nelle altre parti di quanto rimane del cosiddetto mondo (post)cattolico; credo che in altri paesi come la Francia, dove i pochi praticanti rimasti scendono in piazza per difendere la Messa di Natale dalla dittatura macroniano-sanitaria, questi abbiano altre priorità.

Questi cambiamenti però, in particolare quello su cui ci soffermeremo, significano però tanto, non solo religiosamente ma pure culturalmente. Lo avevamo già anticipato nel mio articolo Siamo uomini (e cristiani) o rane in bolltura? del 11 dicembre 2018 .

Se “come anche noi rimettiamo ai nostri debitori” è abbastanza innocuo, dato che il latino sicut et nos è in fondo letteralmente traducibile proprio così (et in latino è una congiunzione significante e , ma pure anche, ancora ), già il liberaci da tutti i mali fa drizzare le antenne.

Sembra infatti che al concetto di Male, solenne e imponente nella sua metafisicità che rimanda al Male veramente assoluto originato dal racconto biblico dell’ Angelo ribelle e superbo, si preferisca un rimando affannoso al politicamente corretto, con una pluralità di mali e disagi, che molto probabilmente all’ epoca del passaggio terreno di Nostro Signore G.C., almeno in parte, nemmeno era avvertiti come tali.

Basti pensare alla problematica ambientale che c’è sempre stata (bere l’ acqua del Tevere della Roma imperiale, ma anche del santo Giordano, non era consigliabile nemmeno allora) e così cara a Papa Bergoglio, e alla generica ossessione per la guerra da evitare a tutti i costi, o persino alla schiavitù; fenomeni che il cristiano inevitabilmente (specie il secondo) non può che sfavorire o combattere, ma che formalmente, nelle parole riportate del Divino Maestro, non sono mai state esplicitamente condannate.

Ma il cambiamento veramente epocale coinvolge la preghiera contro “l’induzione in tentazione”. Da “non ci indurre in tentazione” a “non abbandonarci alla tentazione”.

Persino da un punto di vista seriamente ecumenico, è singolare la fuga in avanti (post)cattolica , che probabilmente non sarà seguita neanche dai luterani, così vicini al cuore di Papa Francesco. Ebbene, la CEI ha deciso che Dio è sostanzialmente non solo impotente dinanzi  al peccato e alla malvagità (l’esasperazione del concetto di misericordia tipico della particolare teologia bergogliana porta a questo), ma pure che neanche è capace di mettere alla prova le Sue creature. Più che l’ Onnipotente, qui sembra che Dio sia una specie di papà, per decreto condannato alla bonarietà e al non infastidire.

Insomma l’assise dei vescovi italiani, per compiacere il buonismo politicamente corretto, ha fatto un vero colpo di mano dottrinario. Ed è anche riuscita nell’ incredibile fake filologico – classico di falsare il latino e/o il greco (lingua, questa ultima, in cui inizialmente fu tradotto il testo originario, in aramaico o ebraico antico, dei Vangeli scritti o dettati dagli evangelisti). “Ne induca nos..” che anche uno studente di liceo classico del primo quadrimestre traduce agevolmente in “non ci indurre..” sarebbe un errore di traduzione, dal greco al latino. Quindi, quattro in lettere classiche ai primi cristiani della parte orientale ed ellenistica dell’ Impero romano.

Non mi resta quindi che cedere la parola alla più competente quanto dotta fonte degli Anonimi della Croce, misterioso blog di fronda antibergogliana : “Prendiamo dunque il versetto in questione dal testo originale greco: “καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν”. La parola di interesse è “εἰσενέγκῃς” (eisenekes), che per secoli è stata tradotta con “indurre”, ed invece nella nuova traduzione vediamo “non abbandonarci” (come i cavoli a merenda). Il verbo greco “eisenekes” è l’aoristo infinito di “eispherein” composto dalla particella avverbiale eis (‘in, verso’, indicante cioè un movimento in una certa direzione) e da phérein (‘portare’) che significa esattamente ‘portar verso’, ‘portar dentro’. Per di più, è legato al sostantivo peirasmón (‘prova, tentazione’) mediante un nuovo eis, che non è se non il termine già visto, usato però qui come preposizione”.

A. Martino

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