IL CINEMA ITALIANO E’ ORMAI MORENTE, LA CHIUSURA DELLE SALE E’ SOLO IL COLPO DI GRAZIA. NON HA PIU’ SENSO IN UN MONDO DI EMOZIONI OMOLOGATE E CORRETTE, E IMMAGINARIO FORMATTATO. PARTE SECONDA: LA FOLLE E PROFETICA STAGIONE DELL’ HORROR ITALIANO

……..segue…..Eppure, a partire dall’ ormai lontano 1957 con I vampiri dell’assurdamente dimenticato Riccardo Freda, l’ horror italiano, nella sua relativamente modesta per i tempi ma fruttuosa nicchia di serie B assieme ai film di Totò o, che so,  ai “musicarelli” forniva enormi capitali per produrre cose quali Il gattopardo o La ciociara, e sfornò non so quante centinaia di titoli. E tengo a ricordare, che benché caso unico in epoca antecedente, Eugenio Testa nel 1920 diresse Il mostro di Frankenstein (ben due anni prima del blasonatissimo Nosferatu di Murnau).

Pellicole che curiosamente, nessuno diceva di andare a vedere per non rischiare di apparire mentalmente perverso, ma che già dai loro artistici manifesti promettevano universi paralleli di terrore e malvagità pura più o meno sconfitta alla fine dal Bene. Gotici castelli teatro di azioni solitamente ottocentesche (fino ai primi anni settanta) con i soliti spettri o vampiri, ricche famiglie patrizie in agghiacciante solitudine ma tormentate da maledizioni secolari, esseri con dèmoni interiori o nati bacati che uccidono serialmente e la cui liberazione non può essere che la propria stessa uccisione, diavoli, zombies…Noi percepiamo con i sensi materiali solo una parte della realtà in cui siamo immersi e ci muoviamo, la Ragione si forma dinanzi al Mistero e all’ Assurdo, questo non è il migliore dei mondi possibili, anzi tutt’altro.

Certo, la violenza è insistita, morbosa, fino a esplodere in quelli che un pregevole testo critico ormai introvabile (Operazione paura di Antonio Bruschini e Antonio Tentori, ed. Puntozero 1997) chiama “delirii no limits”: lo splatter, gli zombies, i Grand Guignols  diretti da un Lucio Fulci anche insuperato maestro della psichedelia non solo italiano, un Aristide Massaccesi, un  Michele Soavi, un Renato Polselli alias Ralph Brown…e tanti altri straordinari artigiani della Paura cui chi scrive, e L’ Ortis vogliono rendere omaggio. Non per l’essere “patiti dell’ horror”, genere spesso di difficile digeribilità e di intutiva pericolosità per più di qualche psiche, ma per il ravvisare in esso una straordinaria stagione della creatività italiana. E certo l’ horror italiano si pone ben presto, pur con minori risorse rispetto a quello anglosassone, con maggiore morbosità, crudezza, contaminazione con l’ Eros.

Digeribilità spesso e furbamente, agevolata da interpreti femminili di straordinaria bellezza, spesso destinate all’ inevitabile sevizia o abietto assassinio in trasparenti negligées , oppure angeliche eroine se non demoniache antieroine: una fra tutte, la britannica regina del Gotico di Cinecittà Barbara Steele. E il Tenebroso per eccellenza del cinema mondiale ovviamente non mancava, in un tempo in cui Cinecittà pareva la succursale di Hollywood: Christopher Lee, tra una puntata della saga draculiana e l’altra.

Nei primi anni Sessanta si esauriscono le venature romantiche di legittima ascendenza letteraria in narrazioni tutto sommato ancora legate alla tradizione del romanzo gotico anglosassone (che peraltro nasce ambientato proprio in Italia, non dimentichiamo). L’ horror italiano vira quindi verso il morboso, l’ Eros più esplicitamente perverso e persino necrofilo, sadomaso, saffico. Con una violenza e una crudeltà, ancora più della situazione complessiva e della psicologia che degli atti: una durezza difficilmente ravvisabile nel cinema straniero anche americano, un po’ come nel western. D’ altronde, non poteva non avere effetto anche qui lo sdoganamento del sesso postsessantottino arrivato non solo in cinema ma persino, in misura sempre crescente, in televisione. Un titolo fra cento o duecento? Il boia scarlatto di Massimo Pupillo (1965).

Dalla svolta propriamente orrorifica del Maestro italiano per eccellenza con Suspiria (Dario Argento, 1977), la violenza fisica e cruenta sconfina nella ferocia, e il sangue ed altroscorreranno a volontà, in un crescendo rossiniano che vedremo dove culminerà, per poi spiaggiarsi a partire dagli anni Novanta, in modo sempre meno contrastato, sui lidi della tranquillità dell’immaginario piccolo-borghese e politicamente corretto, dell’ omologazione mondialista trionfante, attraverso l’ inesistenza totale o quasi di nuove opere. Aspetto una nuova fatica di Dario Argento, che dal 2012 più nulla ha potuto regalarci.   

E quindi, ormai, tutti quei nomi di registi e attori, quei fantasmagorici e inquietanti titoli di dimenticate, archeologiche pellicole come L’amante del demonio (1972) di Paolo Lombardo o di qualcuna più fortunata nel tempo come l’avatiana La casa dalle finestre che ridono , cosa volete che dicano a un fan di Pierfrancesco Favino o di Virginia Capotondi? A chi non si perde un film di Ferzan Ozpetek o di Luca Guadagnino? Chi si sente orfano della vena inaridita di Nanni Moretti, potrà mai rammaricarsi del passaggio di Michele Soavi o Lamberto Bava alla direzione di fiction “ stasera e domenica sugli schermi di…”?    La notte della rabbia contro la fantasia di “brutte cose”, la scorrettezza e il venire meno dei freni inibitori dell’Estetica piccolo- borghese è già scesa sul cinema italiano, ben prima della chiusura per decreto di sale ormai riempite a meta solo a Natale (se va bene). L’ odierna sinistra borghese, atea, materialista e lobotomizzata dal Pensiero Unico con la sua egemonia culturale non può tollerare quello che tollerò la Democrazia Cristiana, altro che “censura clericale”….!      

Assoluti e pericolosi deliri per il Pensiero Unico, per cui “non esistono mostri, ma disagio nelle sue varie forme”, e ormai anche per una Chiesa (post)cattolica in cui il Padre Eterno “perdona sempre” e “nessuno è maledetto”. Peccato però che la cronaca nera sempre più efferata,  “argentiana” o “fulciana” (vedi “femminicidi”) e la pandemia facciano apparire il boom dell’horror italiano preveggente se non addirittura profetico. L’Orrore è scomparso dal grande schermo per la scorrettezza del suo immaginario , ma si impone a forza di speciali del TG1 sulla pandemia con bare accatastate e portate chissà dove da chissà chi.

A trentacinque anni dall’ uscita di Dèmoni 2 di Lamberto Bava (figlio del maestro Mario Bava autore tra l’ altro di Operazione paura del 1966), voglio ricordare la duologia che segna forse l’ apice dell’ horror italiano nel suo sottogenere zombiesplatter, e il suo successo  internazionale. Dèmoni però non è affatto una furba operazione commerciale di inserimento in scie altrui, perché Dario Argento aveva già collaborato intensamente alle fatiche di George Romero (assoluto maestro internazionale del sottogenere) come consulente alla sceneggiatura e coproduttore. Anni dopo, decise di coinvolgere Lamberto, il figlio del proprio maestro Mario Bava in un progetto del genere a lui caro: lo produsse, sostenne il giovane regista e lavorò alla sceneggiatura. Preferì rimanere defilato, convinto che il passaggio dal thriller autoriale sia pure molto crudo e cruento, all’ horror nel suo estremo splatter fosse prematuro e disorientasse i suoi fans già messi alla prova dalla svolta di Suspiria (1977).

Dèmoni è visionario quanto pessimistico come il suo sequel, la trama è volutamente assurda e irrazionale quanto inquietante. Il sonno della ragione genera mostri, e la claustrofobia li scatena.

Cupi soggetti si aggirano per Berlino offrendo biglietti gratuiti per la prima di un horror nel cinema Metropolis, che a qualcuno altrettanto surrealmente pare prima non esistente. L’ architettura del cinematografo richiama proprio il capolavoro futurista omonimo di Fritz Lang , aspetto che stranamente nessun critico ufficiale ha mai messo in luce: parrebbe alludere a un futuro da incubo. Il terrore che sul grande schermo prende le mosse da una sedicente, agghiacciante profezia di Nostradamus (“Faranno dei cimiteri le loro cattedrali e delle città le vostre tombe”) si avvera con un transfert di orrore dalla finzione sul grande schermo al pubblico in sala: e vai con i classici contagi mediante contatto con i dèmoni assetati di sostanza umana quindi subito proliferanti, anche con un semplice graffio. Orrore puro, delirante ed estremo, amplificato dalla trappola claustrofobica di un cinema praticamente sigillato, ettolitri di sangue, sbudellamenti. Nessuna fine consolatoria: qualche superstite riesce a sfondare una vetrata, ma anche l’abietto contagio pare tracimare da quelle berlinesi mura maledette….vi dice qualcosa, il tema del contagio e del “divieto di spostamento”? Ma siamo nel 1985, non nel 2020…

Nel cast spicca la bellissima Natasha Hovey, allora lanciatissima dalla ben più tranquilla fatica verdoniana di Acqua e sapone (1983). Alla fine del film, però, sarà tutt’altro che tale….

Dèmoni 2…L’ incubo ritorna (stessa regia sempre in sodalizio sponsorizzante con Dario Argento ad appena un anno dal successo di Dèmoni), continua nel solco del terrore veicolato dalla finzione scenica, questa volta tramite televisione (chiara la citazione di Videodrome di David Cronenberg del 1983 ma anche di  Poltergeist,1982 di Tobe Hooper). Se anche qui la debolezza di sceneggiatura e trama non aiuta il rendimento critico della pellicola, l’ambientazione dell’orrendo Grand Guignol in un complesso residenziale di lusso di Amburgo (anche questo misteriosamente sigillato), è forse sociologicamente più significativa. Protagonisti ancora zombies feroci e terrificanti: il tutto parte da un film in tv su quanto prima accaduto (ma la realtà parte da una passata realtà, o da una finzione?). E da una gioiosa festa di compleanno con tanto di candeline da spegnere da parte della prima “zombizzata”.

Altra crudeltà mentale della sceneggiatura è la mostrificazione di un bellissimo pargolo di sette od otto anni, dal cui corpo nasce un draghetto…. E l’abbattimento di un padre eroico ma ormai contaminato dinanzi alla propria figliola. D’ altronde, lo splatter è, o era, anche questo….come si diceva una volta sui manifesti dei film porno, “Se sei contro non entrare, non è per te”.  

Nel cast di Dèmoni 2, anche una prorompente Nancy Brilli poco più che esordiente e Asia Argento sedicenne.  

Solo il primo lavoro della duologia costò quattro miliardi di lire, che oggi nominalmente equivarrebbero a quasi due milioni di euro: in termini di reale potere di acquisto, noi euroscettici sappiamo benissimo che l’ equivalenza è enormente superiore, persino difficile da calcolare. Basti questo, per avere una ulteriore conferma, stavolta puramente economica, del collasso del cinema italiano. Anche perché due milioni di euro,sono comunque un budget ormai impensabile in Italia, per qualunque prodotto fosse ancora destinato al pubblico in sala.  

A. Martino

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