IL LATO OSCURO DELLA ZONA BIANCA

Penso sia capitato a tutti di assistere alla scena in cui due cani al guinzaglio, incrociandosi per strada, inizino improvvisamente ad abbaiarsi contro ringhiando rabbiosamente mentre con fatica i rispettivi padroni cercano di trascinarli via. Quando ero un bambino ed assistevo a queste scene rimanevo colpito nel vedere cani di piccola taglia come chihuahua o yorkshire cercare con veemenza di avventarsi contro esemplari di mastino napoletano, dobermann o pastore tedesco. Mi chiedevo:”Dove trovano il coraggio per sfidare cani 5-6 taglie più grandi di loro?”. Un giorno una persona mi spiegò che il cane trae forza e coraggio dalla consapevolezza di essere legato al padrone tramite il guinzaglio. E questa dinamica mi è venuta in mente assistendo agli ultimi episodi di follia collettiva che, ahinoi!, invece di essere eccezioni stanno diventando la regola.

Chi scrive abita a Cagliari e di conseguenza posso ritenermi un cronista attendibile di ciò che è accaduto nella cosiddetta  “regione bianca”. E ciò che è accaduto in Sardegna agli inizi del 2021 sarà sicuramente riportato in futuro in tutti i manuali di psicologia, sociologia e psichiatria.

Quando la Sardegna fu designata come unica “regione bianca” in mezzo ad un’Italia multicolore ci fu giustamente un’esplosione di entusiasmo in tutta l’Isola, poichè si poteva intravedere una flebile luce in fondo al tunnel accompagnata da un timido ritorno alla normalità. L’entusiasmo di gran parte dei sardi purtroppo si dileguò progressivamente, in breve tempo, come le bollicine in un bicchiere di prosecco appena versato. Le ragioni di questo entusiasmo smorzato si possono ravvisare, a mio parere, in una sorta di “ansia da prestazione” che ha come paralizzato gli animi e le menti di gran parte del popolo sardo. In pratica ci si è trovati in una situazione analoga a quella di un uomo che desidera ardentemente una donna bellissima ed apparentemente irraggiungibile (allegoria della libertà), ma quando quest’ultima inaspettatamente si concede al proprio spasimante egli, preso alla sprovvista, viene travolto dalla paura di fallire.

A pochi giorni dalla decisione governativa di “sbiancare” la Sardegna ho avuto modo di monitorare i cosiddetti “social”  e poter leggere centinaia e centinaia di commenti postati dai sardi a riguardo. E il quadro che ne è uscito fuori è stato a dir poco desolante. Gran parte dei sardi imbruttiti e incattiviti da più di un anno di libertà vigilata e arresti domiciliari si sono ritrovati a criticare se non proprio rifiutare in toto la “zona bianca” poiché, a loro dire, questo allentamento delle restrizioni avrebbe portato dei potenziali untori provenienti dalle altre regioni d’Italia a diffondere il virus in tutta la regione e costringere il “buon” Draghi ad imporre un nuovo lockdown. Praticamente come se i deportati in un campo di concentramento pregassero i propri aguzzini di essere più cattivi e intransigenti. In definitiva gli abitanti della Sardegna, ormai assuefatti alla prigionia si sono chiesti: “Cosa ce ne facciamo di questa libertà?”

Come quegli animali da tempo in cattività che si ritrovano impauriti e disorientati se riportati nel proprio habitat. E anzi penso che inconsciamente gran parte del popolo sardo, come se fosse affetto dalla Sindrome di Stoccolma, si sia sentito addirittura abbandonato dal governo! Sembra un’affermazione azzardata ma se si crede alla narrazione per cui il governo abbia istituito le zone rosse per il bene degli italiani se ne potrebbe dedurre che, sempre il governo, possa non volere il bene della Sardegna in quanto zona bianca. E quindi, duole dirlo, i miei corregionali hanno accolto il ritorno ingiustificato alla zona arancione con un sospiro di sollievo se non proprio con malcelata soddisfazione. E si ritorna al discorso fatto in precedenza.

Il cane che percepisce la tensione del guinzaglio si sente protetto e confortato dal padrone. Allo stesso modo tanti italiani percepiscono  le restrizioni alle libertà individuali come gesti d’amore nei loro confronti e anzi sono talmente confortati e rincuorati da tale regime poliziesco che riescono pure a trovare il coraggio di angariare e denunciare i connazionali che si ribellano ai diktat liberticidi.Nient’altro che prigionieri complici dei propri carcerieri. Esattamente come l’odiosa figura dei kapò nei lager nazisti. Vittima e carnefice allo stesso tempo.

Alessio Paolo Morrone

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