COMPRA ITALIANO, E ABBUFFATI DI CIOCCOLATO: SALVIAMO I LAVORATORI DELLA PERNIGOTTI

Guarda un po’ che diceva il sei ottobre 2015 al “Sole 24 ore” Ahmet Toksoz (che insieme al fratello Zafer è proprietario dell’omonimo gruppo turco che conta 3.800 dipendenti e ha acquisito la Pernigotti nel 2013) : “Vogliamo portare Pernigotti nel mondo a competere in dieci anni con i grandi player mondiali del cioccolato. Siamo soddisfatti dell’acquisizione di Pernigotti e siamo pronti a cogliere nuove opportunità di sviluppo nel settore dell’alimentare in Italia, in particolare nelle marmellate, nei gelati e patatine, dopo aver consolidato e coordinato tra loro le varie acquisizioni operate all’estero negli ultimi tempi dal nostro gruppo».

Indubbiamente belle parole, e indubbiamente bei propositi. La cruda realtà è invece che la proprietà ha deciso chiudere di chiudere lo stabilimento di Novi Ligure operativo addirittura dal 1860, mettendo in cassa integrazione guadagni per un anno cento dei duecento dipendenti : e con una cassa integrazione di particolare tipologia reintrodotta col decreto Genova (la CIG per cessazione di attività e non per crisi, che dà assai meno tempo per tentare acquirenti e cercare di risolvere la crisi). Certo, si parla di perdite per cinquanta milioni di euro dalla “turchizzazione” dello storico marchio (davvero sfortunata, se queste sono le cifre) imputabili secondo i sindacati a una gestione per nulla abile che ha visto succedersi quattro amministratori delegati e l’incapacità di stesura di un buon piano industriale, e di utilizzo degli ammortizzatori sociali. Eppure, ancora all’ Eurochocolate di ottobre, la proprietà smentiva l’agonia dello stabilimento di Novi Ligure. Gli unici due raggi di sole in questa vicenda, al momento, sono l’istituzione di un tavolo di crisi ministeriale, e la garanzia (verbale) del gruppo Toksoz per cui la produzione continuerà esternalizzata, ma in Italia.

L’impressione generale che, dalla nostra visuale sovranista e populista, se ne ricava è indubbiamente pessimistica : i marchi storici italiani di eccellenza, particolarmente di un comparto come quello dolciario incalzato dalla concorrenza  e dalle “offerte” dei dolciumi-spazzatura della grande distribuzione, i cui ingredienti sembrano un trattato di chimica, non reggono il passaggio da una gestione a successione familiare, a  quella mercatistica e globalizzante, e se riescono a sopravvivere lo è solo perdendo la reale italianità. Monopoly e Risiko sono avvincenti giochi di società e da tavolo, ma in Italia, trasferiti nella realtà degli affari e dell’economia, non è affatto detto che divertano, anzi rischiano di essere una grossa delusione per chi compra. D’altronde, lo stesso marchio Sperlari fu rilevato (alla pari di Streglio ) proprio da Pernigotti, che nel 1981, già in una sua fase di crisi, lo cedette all’americana Heinz. Sulla scelta da parte di Stefano Pernigotti di vendere nel 1995 alla famiglia Averna, che poi nel 2013 passò lo storico marchio dei gianduiotti o dei torroncini (tanto per dire qualche prodotto) ai turchi , poi, pesò indubbiamente la tragedia che vide scomparire in un incidente stradale i due fratelli che avrebbero ereditato.

Certo, negli USA o in Germania non è così : il nostro capitalismo industriale indigeno ha sue peculiarità spiegabili con la tardività della sua nascita e soprattutto del suo sviluppo, per certi aspetti positive e rispettabilissime (ad esempio il familismo comporta un particolare senso di responsabilità sociale verso i lavoratori e comunità locali), ma che in tempi ben diversi dall’ Italia umbertina o in camicia nera, comportano fragilità e scarsa reattività alla rapacità del business.

Comunque sia , tanta solidarietà e affetto ai lavoratori della Pernigotti, e un appello : rimpinziamoci di questo ottimi cioccolati e dolci made in Italy; avremo dato una mano concreta a questi nostri connazionali, e alleviata l’ansia delle loro famiglie.

Antonio Martino

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