QUEST’ANNO, NELL’UOVO DI PASQUA, EMANUELE SCARINGI CI HA FATTO TROVARE LA “PANTAFA”

È in proiezione dal 30 marzo – nelle sale abruzzesi, laziali, liguri, lombarde, pugliesi, romagnole e toscane – il terzo film diretto dal giovane Emanuele Scaringi, classe 1979, romano di nascita, ma, di sicure ascendenze teatine, data l’assonanza del suo cognome con il più abruzzese “Scarici” e la tematica trattata in questa sua ultima fatica cinematografica: “Pantafa”.

Ma cos’è “la Pandàfeche”?

Nella tradizione abruzzese e marchigiana, quindi del popolo italico dei Piceni che dominò le terre tra Rocca Priora ed Atri,  “la Pandàfeche” è uno spirito che si manifesta di notte posizionandosi sul petto di un ignaro dormiente.

Questi, avvertendo la presenza dello spirito a causa della compressione del proprio torace, si sveglia, ma non riesce né a muoversi, né tantomeno a gridare, perché è in balia del potere della “Pantafa” (variante del nome di questo spirito per i marchigiani) che, secondo alcune tradizioni, sarebbe anche in grado di assorbire le energie vitali della vittima.

Ebbene il film di Scaringi gira proprio intorno alla presenza di questa creatura che si manifesta, in un’antica casa di montagna, ad una coppia di donne cittadine, una madre ed una figlia che, sembrano essere in una continua crisi di identità, e, per questo, si scontrano nell’impossibilità di fare pace con il passato.

Un film, quindi, sostanzialmente intimista e dichiarato horror solo a causa della trama e delle ottime e ricercate, ambientazioni.

Infatti a parte il cliché del cittadino moderno che, una volta entrato a contatto con la realtà della campagna profonda, scopre un mondo più lento, pregno di magia e superstizione – si veda a tal riguardo, ad esempio, la pellicola di “Dracula” così come quella di  “Non aprite quella porta” –  “Pantafa” di Scaringi tutto è, in meglio, fuorché un film horror.

È senz’altro un ottimo prodotto, un viatico, per sponsorizzare un certo Abruzzo, quello dell’entroterra, fatto di tradizioni antichissime, riti e superstizioni, ancora esistenti.

A tal riguardo, ad esempio, per cercare di rendere il più possibile commerciale questa pellicola il regista ha creato un mix mettendo insieme diverse cose, anche contrastanti tra loro, ma senz’altro più “digeribili” per il grande pubblico , dando così ricchezza alla trama e colore alle scene:

  • Il film è ambientato in un Paese di montagna denominato “Malanotte”. Non è un nome di fantasia, “Malanotte”, infatti è l’antico nome di un Comune abruzzese della Provincia di Chieti oggi denominato “Montebello sul Sangro”;
  • Nel film si vedono le due donne attraversare un ponte che sovrasta un lago, ebbene Montebello sul Sangro è affacciato proprio su di un bacino d’acqua artificiale denominato “Lago di Bomba”;
  • I protagonisti che nella pellicola sono residenti a Malanotte parlano un idioma chiaramente appartenente alla zona del pescarese, molto diverso dalla parlata del chietino come, invece, avrebbero dovuto esprimersi gli attori data la localizzazione del villaggio, ma, certamente, più comprensibile per il grande pubblico;
  • In diverse scene de la “Pantafa” si vedono prima i lavori di preparazione di una “Pupa” e poi, verso la fine della pellicola, il ballo della stessa. Un evento, questo, assolutamente impossibile nel Comune di Malanotte poiché la “Pupa – una figura femminile di cartapesta, dalla forma campanulare, al cui esterno è ancorata una struttura di metallo che sostiene numerosi fuochi d’artificio a bassa potenza – è un fantoccio tipico del Comune di Cappelle sul Tavo e dei comuni limitrofi della provincia di Pescara e Teramo, ma non del chietino. Tuttavia è evidente che questo elemento ha abbellito ed arricchito la sceneggiatura;
  • Il nome “Pantafa”, data alla pellicola, strizza intelligentemente l’occhio alla Regione Marche cercando così di allargare il pubblico interessato al film;
  • La scena in cui la “Pandàfeche” possiedeil corpo di una vittima è tradizionalmente inesatto e fuori luogo, ma è altresì evidente che grazie ad essa si riesce a dare un tono più horror alla storia.

Per il resto, gli scongiuri, i riti e tutte le tradizioni annesse, per tenere lontana questa presenza corrispondono a quanto ci è stato tramandato ed insegnato dai nostri anziani.

Pertanto non mi sembra un eresia dare un bell’8 a questa pellicola.

Lorenzo Valloreja

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