NON SERVE PIANGERE SUL LATTE VERSATO, MA, SEMMAI, AGIRE!

E si, c’è poco da fare, riguardo le proteste dei pastori sardi, le chiacchiere stanno a zero, solo, nessuno vuole guardare in faccia le realtà. Infatti, un po’ per realpolitik, un altro po’ per convinzione ideologica, nessuno vuole ammettere che le problematiche legate al deprezzamento del latte ovino e caprino, non sono in alcun modo legate alla sovrapproduzione, prima ed al relativo deprezzamento poi, del formaggio pecorino, ma, semmai, alle scellerate politiche agricole europee ed alla famigerata moneta unica.

In questi giorni, molti siti specializzati nello smascherare le cosiddette fake news si sono letteralmente sbracciati nel dire che la protesta dei pastori non è perfettamente adeguata perché se il latte dovesse essere pagato, ai produttori, alle cifre richieste da questi ultimi a rimetterci saremmo tutti noi consumatori.

Per spiegare la questione i “possessori della verità” hanno preso come esempio il prezzo del latte di capra venduto nei supermercati della Gran Bretagna.

Ebbene, nel caso specifico, il prezzo si attesterebbe, per il consumatore britannico, intorno ad 1,88 Euro al litro.

Ora, sempre secondo questi “scienziati”, se si utilizzasse il latte sardo, anziché quello inglese, il cartellino del prezzo del latte di capra dovrebbe essere ritoccato verso l’alto di un bel po’ visto che, le aziende d’oltremanica, oltre il costo di un Euro da elargire agli allevatori dovrebbero provvedere al confezionamento, al trasporto ed alla logistica di questo liquido prelibato.

Ebbene costoro dimenticano, o forse non hanno mai saputo, che il maggiore fornitore di latte caprino ed ovino, verso lo UK è l’India, Paese, tra l’altro, primo al mondo nella produzione di latte caprino con i suoi 5 milioni di tonnellate l’anno.

L’India, così come molte altre Nazioni legate a Londra da un passato coloniale, ha dei fortissimi legami economici con gli inglesi che ne fanno un partner molto più affidabile di quanto non siano gli altri Paesi dell’Unione Europea.

Ma, per i sudditi di Sua Maestà, la convenienza nell’acquistare latte indiano non è data solo da legami culturali quanto e soprattutto dal prezzo dello stesso: in Romania il latte di capra, alla produzione, costa 0,31 Euro al litro, in India il prezzo non supera i 0,2 Euro al litro, ciò significa un risparmio, alla “mammella” di circa 10 centesimi.

Ed ecco spiegato il motivo per il quale, in Inghilterra, si può acquistare il latte di capra, al bancone frigo, a 1,88 Euro al litro.

Ma veniamo ora alla questione italiana.

Il giornale online “Il Post”, ad esempio, attribuisce il calo del prezzo: << … all’andamento del mercato del Pecorino Romano DOP, per la cui produzione viene impiegata più della metà di tutto il latte prodotto in Sardegna. Quando il prezzo del Pecorino Romano sale, come era successo due anni fa, sale anche il prezzo del latte; quando il prezzo del Pecorino Romano scende, scende anche il prezzo del latte. La produzione di Pecorino Romano, proprio per evitare grosse oscillazioni dei prezzi, è regolata da quote che vengono stabilite ogni anno, ma che secondo gli allevatori non vengono rispettate da molti caseifici anche per via delle multe molto basse. L’eccessiva produzione di Pecorino degli ultimi anni, spinta dagli alti prezzi che aveva raggiunto il prodotto, ha fatto accumulare a moltissimi caseifici grandi scorte di formaggio invenduto e questo, in pochi mesi, ha fatto drasticamente abbassare i prezzi del prodotto al consumo, con conseguenze arrivate fino ai produttori di latte. >>.

Ciò che questo giornale non dice, così come tutte le altre teste italiane, è che il Pecorino Romano DOP è rimasto invenduto a causa delle sanzioni comminate da Mosca ai nostri prodotti caseari, conseguenza diretta, quest’ultima, e risposta simmetrica, alle nostre precedenti sanzioni stabilite verso la Russia a seguito della crisi ucraina e che, ancora oggi, sono vigenti.

Prima delle sanzioni il nostro Paese esportava in Russia formaggi per un valore complessivo che si attestava intorno ai 47 milioni di Euro l’anno, a seguito della risoluzione UE questo flusso di denaro è stato totalmente azzerato e a nulla, e poco più, sono valse le varie triangolazioni con Dubai per cercare di saltare l’ostacolo.

Per ciò che concerne il Pecorino DOP, prima delle sanzioni, secondo fonti CLAL, esportavamo verso la Federazione Russa, annualmente, più di 151 mila kg di questo formaggio, cioè qualcosa come 6 mila forme di cacio, per un introito che si aggirava intorno al milione e mezzo di Euro.

Tra le Nazioni extraeuropee, ma geograficamente facenti parte del vecchio continente, che maggiormente assorbivano questo prodotto c’era proprio la Russia, seguita a ruota dalla Svizzera con quasi 130 mila kg ed a distanza abissale dall’Ucraina con più di 4mila kg di pecorino. Insomma le rimanenze invendute di questo formaggio sono tutte da addebitare alle sanzioni alla Russia ed alla speranze disattese dei produttori che fantasticavano su di un’imminente fine delle ostilità diplomatiche grazie alla mediazione dell’attuale Esecutivo Giallo/Verde.

Perciò, in conseguenza di tutto ciò, portare giustamente il prezzo del latte dai 55 centesimi al singolo Euro al litro, sebbene sia cosa buona e giusta, potrebbe risultare inutile se le frontiere resteranno sempre aperte al latte proveniente da Paesi come la Romania, piuttosto che l’Ungheria o la Bulgaria.

Se poi si parla del fenomeno dell’”Italian sounding” – come da me già denunciato tra l’altro nel mio ultimo libro intitolato “AL DI LA’ DEL PREGIUDIZIO – saggio sul perché l’Italia per rinascere debba tassativamente: Uscire dall’Unione Europea; Uscire dall’Euro; Uscire dalla NATO; Allearsi alla Russia di Putin” – allora cadiamo veramente nel ridicolo.

Nello specifico, nel mio libro, a pag. 61 affermo che: << anni fa Coldiretti denunciò  come ad uccidere i pastori italiani è la concorrenza sleale di imitazioni come il formaggio di latte di pecora prodotto dallo Stato italiano in Romania e venduto in Europa e negli Stati Uniti con marchi come Toscanella, Dolce Vita e Pecorino che richiamano al Made in Italy, a danno dei prodotti originali realizzati in Italia con latte italiano. La vicenda che ha del paradossale è la seguente: la società Simest, controllata dal Ministero dello Sviluppo Economico, partecipa alla produzione di latticini e formaggi in un azienda denominata Lactitalia e sita in Romania, nelle vicinanze della città di Timisoara, la quale usando materie prime e manodopera rumene rivende e commercializza i propri prodotti in tutto il mondo spacciandoli per Made in Italy >>.

Detto questo, di che cosa vogliamo parlare???

Unica soluzione: Fuori dall’Unione Europea e fuori dall’Euro!

Lorenzo Valloreja

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