ROBERTO MANCINI LASCIA LA GUIDA DELLA NAZIONALE CON UNA BUROCRATICA PEC. PROBABILMENTE, TUTTA UNA QUESTIONE DI SOLDI. SPERIAMO CHE NON DIVENTI “ROBERT D’ARABIA”.

La crisi di governo “balneare” è una realtà.

Però il governo non è quello del consiglio dei ministri, bensì quello del pallone: crisi non meno grave e dolorosa per molti italiani, anzi per qualcuno lo è di più. D’altronde, è solo alle partite della squadra nazionale di calcio delle varie selezioni, e non solo a quelle di calcio, che si canta l’analogo inno “Fratelli d’Italia” ribattezzato “canto degli italiani” allo stesso modo come il motto d’incoraggiamento Forza Italia fu cambiato più o meno d’ufficio con Forza azzurri (e da allora i berlusconisti si definirono anche azzurri: due a uno e palla al centro).

Con una burocratica pec due giorni prima di Ferragosto, Roberto Mancini si è sfilato dal ruolo di selezionatore di tutte le formazioni calcistiche tricolori. Eppure, aveva appena confermato la sua disponibilità, appunto e anzi accrescendo le sue responsabilità a tutte le supreme formazioni del calcio sotto l’egida della FIGC.  Il tutto ben poco razionale e di dubbia legittimità da parte di Mancini, che invoca una certa clausola (controversa) causata dalla mancata qualificazione al campionato europeo del 2024. Non sono da escludere gli avvocati.

Avvocati che invece parrebbero da escludere per quanto riguarda la penale invocata da Aurelio de Laurentiis nei confronti del dimissionario Luciano Spalletti probabile nuovo commissario tecnico della nazionale: lo Spalletti, guarda caso (ma non voleva godersi la famiglia, anno sabbatico etc.?), nonostante la marcia trionfale del Napoli verso il terzo scudetto della sua storia, si era dimesso dalla panchina partenopea diventando l’uomo giusto al momento giusto, e per il posto giusto.

Pacta sunt servanda: al Napoli spetterebbero 2,6 milioni in decrescita di 250.000 al mese, e l’intransigente erede dell’illustre famiglia cinematografica non intende rinunciarvi; comprensibilissimo, anche se forse, trattandosi non di un club rivale ma del Tricolore, un gesto da gran signore potrebbe essere quello di accontentarsi di una penale simbolica (non dico un euro, ma siamo lì, dinanzi a tali cifre).

Nel caso in cui l’ipotesi Spalletti dovesse naufragare, è quasi certa una seconda panchina Conte.

Mancini non lascia grandi rimpianti: sotto di lui, se è vero che l’Italia ha vinto un campionato europeo, lo è parimenti che non si è qualificata a ben due campionati mondiali e al campionato europeo del 2024. In pratica, un bilancio disastroso o quasi.

Le motivazioni del dimissionario c.t. sono alquanto fumose e presuntive (una asserita sgradita gestione e collocamento di incarico specifico dei suoi uomini più fidati e fedeli, l’arrivo di Gigi Buffon in team dirigenziale), ma vi è una sensazione sgradevole e un timore alquanto atroce. E cioè, che sia solo, e come quasi sempre, una questione di soldi: tanti soldi, che la FIGC non può e non deve dare. Apprezzabile, se così davvero fosse, la decisione di Spalletti di limare al ribasso l’ingaggio.

Il timore suddetto è quello di ritrovarsi l’ex ct di una delle squadre nazionali più prestigiose del mondo e più cariche di storia, allenare, travolto da uno tsunami di petrodollari di fondo sovrano, la selezione nazionale del Regno di Arabia Saudita, ultimo tassello italiano di uno splendido album di figurine in carne e ossa collezionate con tenacia ed entusiasmo da MBS (Mohammed bin Salman). Lì dove il Ronaldo che si fa il segno della croce dopo un gol (gesto tutto sommato inappropriato e superstizioso), ha suscitato grande scandalo (ma forse, ormai, lo avrebbe suscitato anche qui).

A. Martino   

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